Anche i ribelli uccidono i giornalisti

Ikhbariya Tv non era una televisione alle dirette dipendenze del regime siriano. Era una televisione privata, finanziata anche dallo Stato. Subiva un regolare controllo/censura da parte del Ministero dell’Informazione, ma meno rigido rispetto a quello a cui sono sottoposti i giornalisti di Stato. Fin dal marzo 2011, quando è scoppiata la rivoluzione contro il regime di Assad, Ikhbariya Tv è stata accusata dai ribelli di essere la “voce del padrone”, il megafono della propaganda di Damasco. Si parla al passato di questa realtà, perché ieri la sede di Ikhbariya Tv è diventata un cumulo di macerie. Un commando armato ha fatto irruzione nella sede centrale dell’emittente. Sette, fra giornalisti e guardie giurate, che vi stavano lavorando, sono stati trascinati fuori dagli studi e giustiziati sul posto. Poi il commando ha fatto esplodere due degli edifici del complesso televisivo. Questo è quel che è successo ieri mattina, a Drusha, una ventina di chilometri a Sud di Damasco.

Che natura ideologica hanno i ribelli che uccidono dei civili? Dei giornalisti? Nessun gruppo armato ha rivendicato l’attacco. Non è dato sapere se siano islamisti di Al Qaeda, o bande dei piccoli eserciti tribali che combattono un po’ in tutto il Paese, o movimenti legati all’Esercito Libero Siriano. La decadenza di quest’ultimo, duramente colpito dall’offensiva dei regolari a Homs, nei mesi scorsi, ha probabilmente provocato una frammentazione della resistenza ad Assad. Ed questa frammentazione che ha reso la situazione sul campo molto più violenta, oltre che incontrollabile. L’area delle periferie della capitale sta diventando la più incontrollabile, nonostante la sua vicinanza con i centri del potere. Dall’inizio dell’anno, contro il regime combattono anche intere brigate formate dalle tribù siriane, equipaggiate con armi di contrabbando. I combattenti stranieri sono in aumento. In una riedizione alla rovescia della guerriglia irachena (quando gli jihadisti passavano dalla Siria per andare a combattere contro gli americani, col tacito assenso di Assad), dall’Iraq affluiscono armi e volontari di ogni natura ideologica, secondo quanto denuncia lo stesso regime di Damasco sin dall’inizio di quest’anno. Altri volontari e armi di contrabbando arrivano dal Libano. E lo stesso Paese dei Cedri rischia di rimanere coinvolto nella spirale di violenza: Damasco potrebbe decidere di mobilitare i “suoi” Hezbollah, per riprendere il controllo di Beirut, o per lanciare un attacco diversivo contro Israele. È un’ipotesi da non escludere. Al Qaeda ha già firmato gli ultimi due attentati di Damasco e potrebbe tornare a colpire. Il momento è quello giusto per aumentare ulteriormente il livello di violenza. L’incidente che ha coinvolto un aereo F–4 Phantom turco, abbattuto dalla contraerea siriana, non porterà a una guerra con la Nato. Ma è bastato per scatenare il regime. Che, da due giorni, si considera in stato di guerra e ha intensificato le operazioni di rastrellamento degli insorti. Dall’inizio della rivoluzione, i morti (secondo le stime dell’Onu) sono 10mila. Solo nel fine settimana seguito all’abbattimento dell’F–4, l’esercito ha provocato 116 morti, di cui 40 nelle periferie di Damasco. Quei ribelli che dispongono di armi, non se ne stanno con le mani in mano, ma cercano di vendicarsi. Anche contro i bersagli più indifesi, come una televisione pro–regime e una redazione di giornalisti.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:39