Ormai in Siria è guerra di religione

Gli osservatori dell'Onu sono riusciti ad entrare nel villaggio di Qubair, nella provincia occidentale di Hama, Siria. È il luogo del massacro denunciato lo scorso 6 giugno dall'opposizione (e negato dalle autorità). Gli osservatori, al cui seguito c'era anche il reporter della Bbc Paul Danahar, hanno trovato tracce di un inferno. Stando ai primi reportage, fra le case distrutte si sente ancora puzza di carne umana bruciata. L'ipotesi è che, in quelle 24 ore in cui la missione Onu è stata tenuta lontana (anche a fucilate) dal luogo del delitto, i corpi delle vittime siano stati bruciati. Qubair è stato solo uno dei tanti episodi di violenza di questi giorni. Tuttora sarebbero in corso altri scontri a fuoco a Homs, in quella che appare, sempre più chiaramente, come una guerra.

Secondo fonti di opposizione, il massacro di Qubair sarebbe stato compiuto, oltre che dai soldati regolari, anche dalle milizie alawite degli "shabiha". Le vittime sarebbero tutte di religione musulmana sunnita. E questo confermerebbe la metamorfosi del conflitto. Già da molti mesi, lo scontro assume le forme di una guerra di religione. Non è più una lotta fra dittatura e opposizioni democratiche, ma fra la maggioranza sunnita e la minoranza (di cui fa parte il dittatore Bashar al Assad e il nerbo del suo regime) alawita, una setta musulmana emanazione della tradizione sciita. Già nel passato recente, gli oppositori in Siria hanno chiesto ai Paesi arabi sunniti di aiutarli nella loro "guerra santa" contro il regime alawita. In questo contesto, non si sa ancora quale sia la sorte delle altre minoranze, specialmente quella cristiana. Quest'ultima è stata partecipe delle prime ondate di manifestazioni contro il regime di Assad, ma almeno una parte di essa, ora, teme di finire perseguitata dai ribelli. Recentemente è stata diffusa la notizia di cristiani usati come scudi umani dagli insorti. Sarà vero o è disinformazione di regime? Finora non è stata riscontrata, nemmeno dalle fonti locali, una persecuzione sistematica. Sono stati documentati diversi atti di violenza, ma, almeno per ora, appaiono come casi isolati e non coordinati.

La sorte delle minoranze dipenderà molto dalla durata del conflitto. In assenza di interventi internazionali e vista l'impossibilità, almeno nel breve periodo, di un accordo di compromesso fra Assad e i ribelli, la guerra durerà ancora tanto. Ogni mese di conflitto è un'occasione in più, per gli jihadisti, di guadagnarsi la loro fetta di potere. Come è avvenuto, senza alcuna eccezione, in tutti i conflitti mediorientali.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:44