I dubbi sulla morte del dissidente cinese

Li Wangyang, dissidente cinese dai tempi della protesta di Tienanmen, si è suicidato o è stato suicidato? È morto impiccato nell'ospedale di Shaoyang, mentre era in custodia. Dunque sotto gli occhi dei suoi carcerieri. La sua famiglia aveva potuto visitarlo appena il giorno prima. E ha dichiarato, agli intervistatori di Radio Free Asia, che Li Wangyang stava bene. Il giorno dopo, alle 6 del mattino, gli stessi familiari hanno ricevuto la ferale notizia, ma non hanno potuto vedere il corpo. La tesi ufficiale parla di "suicidio".

La tempistica dell'accaduto è molto sospetta: il suicidio (o omicidio?) avviene infatti nel bel mezzo di un'ondata di repressione in tutta la Cina, scatenata per impedire le celebrazioni del 23mo anniversario di Tienanmen. Li Wangyang era un testimone diretto di quel massacro. Era una sorta di Lech Walesa cinese, un sindacalista indipendente che nel 1989 guidò la protesta dei lavoratori a Shaoyang. Per questo, dopo la repressione dei moti democratici, fu condannato a 13 anni di carcere per "attività controrivoluzionaria". In carcere è stato torturato. Ha perso la vista ed era ridotto in uno stato di semi-paralisi. Scarcerato per motivi medici nel 2000, era stato condannato, subito dopo, ad altri 10 anni di carcere per "incitazione alla sovversione". In teoria, nel 2012 avrebbe dovuto già essere un uomo libero. Ma la polizia aveva evidentemente il timore che quest'uomo cieco e quasi del tutto paralizzato costituisse ancora un pericolo per l'ordine pubblico. E così, in occasione del 23mo anniversario di Tienanmen, le autorità lo avevano posto sotto sorveglianza, 24 ore su 24. Finché non si è suicidato (o non è stato suicidato) nell'ospedale in cui era ricoverato in libertà vigilata. «Abbiamo parlato un poco, anche se non stava bene di salute - ha detto di lui il suo amico Zhou Chengzi, subito dopo la notizia della sua morte - Doveva essere ricoverato ma era ottimista. Non penso che sia un suicidio perché lui era quel tipo d'uomo che non si ucciderebbe mai, nemmeno con un coltello puntato al collo».

L'attivista per i diritti umani Zhou Zhirong è convinto che si tratti di un omicidio della polizia. «Ci sono stati una serie di casi in Cina di persone che "sono state suicidate". Li era illegalmente detenuto nel momento in cui è stato ricoverato. Lo tenevano in custodia perché temevano che altri attivisti democratici potessero fargli visita, in occasione dell'anniversario di Tienanmen. Niente di tutto ciò è legale».

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:47