La fatwa su Najafi, il rapper apostata

Un rapper iraniano, emigrato in Germania, è minacciato di morte. Come nel caso di Salman Rushdie, è la sua arte ad aver attirato le ire delle autorità religiose della Repubblica Islamica. Da venerdì scorso, dopo aver accertato che la minaccia è seria, le autorità tedesche lo hanno trasferito in una località segreta e gli hanno fornito la scorta. Un incubo per chiunque, ma ancora peggiore per chi, fino a poche settimane fa, si preparava a compiere un tour europeo e che, da anni, viveva sulla diffusione della propria musica.

Il rapper in questione, diventato involontariamente un nuovo Salman Rushdie (lo scrittore indiano su cui pende una condanna a morte religiosa dal 1989), si chiama Shahin Najafi. Era fuggito in Germania, nel 2005, per aver scritto e cantato la canzone "I Have a Beard" (io ho una barba) in cui, distorcendo il classico "I Have a Dream" di Martin Luther King, prendeva in giro gli integralisti islamici. Per quella canzone era stato condannato a 3 anni di carcere e 100 frustate. Pena scampata solo perché il cantante era riuscito a fuggire in Germania. Ma la persecuzione del regime iraniano non si limita ai confini dell'Iran: è globale, come già dimostra il caso di Salman Rushdie. E così, alla pubblicazione su YouTube del video della nuova canzone "Naqi", è partita la caccia all'uomo. Il titolo "Naqi" è riferito al 10mo imam della tradizione sciita, Alì al Hadi al Naqi (829-868 D.C.). Nel suo brano, Shahin Najafi invitava l'antico imam a tornare nell'Iran di oggi per vedere che razza di regime vi si sia instaurato. Ma, con la sua serie di doppi e tripli sensi, il testo potrebbe anche essere letto come una presa in giro del 10 Imam e dell'Islam sciita nel suo complesso. Ed è questo ciò che ha provocato l'ira funesta dei fondamentalisti. Alla fine di aprile, quando il dibattito già infuriava su Internet, a una domanda generica ("cosa ne pensa di quegli iraniani che, dall'estero, si prendono gioco della religione?"), il Grande Ayatollah Lotfollah Safi Golpayegani, dalla città santa di Qom, ha risposto in modo abbastanza preciso: «Se hanno dissacrato e insultato la riverita persona, sono degli apostati». Per l'apostasia, in Iran, c'è la condanna a morte. Non c'è alcun riferimento specifico al nome e al caso di Najafi nelle parole di Golpayegani. Ma i devoti sanno a chi l'ayatollah di Qom si riferiva. E hanno preso il suo parere molto seriamente. Tanto seriamente che sulla testa di Shahin Najafi una taglia di 100mila dollari, diffusa su Internet.

Il cantante vive dunque sotto scorta e in località segreta. Ha ricevuto minacce, su Internet si moltiplicano i siti in cui lo si raffigura già morto ammazzato, o inquadrato nel mirino di un fucile. Ogni musulmano, dopo la promulgazione della fatwa, ha "diritto" di ammazzarlo.

Oltre a Salman Rushdie, i precedenti si sprecano: i vignettisti di Maometto, il regista olandese Theo Van Gogh, il giornalista azero Rafiq Tagi, pur non essendo musulmani, sono stati informalmente condannati a morte per blasfemia e sono costantemente minacciati (come nel caso dei vignettisti) o già uccisi (Van Gogh e Tagi) a seguito di una caccia globale.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:29