L'inutile massacro in prima pagina

Non basta nemmeno il "massacro in prima pagina" per far muovere la comunità internazionale contro il regime di Bashar al Assad in Siria. L'intervento dell'esercito a Hula ha provocato circa 108 morti (secondo un bilancio ancora provvisorio), fra cui almeno una cinquantina di bambini. La tragedia di Hula è una delle tante nella lunga catena di violenze che caratterizzano questi 14 mesi di insurrezione e repressione in Siria. Giusto per rendere l'idea: solo nei due giorni successivi, domenica e lunedì, i morti sono 87, secondo il bilancio dell'Osservatorio per i Diritti Umani. Quasi pari al singolo massacro di Hula. Ma nella società mediatica, come è noto da decenni, servono immagini-simbolo per mobilitare l'opinione pubblica. E Hula ne ha offerte in abbondanza. È un massacro in diretta. Titola bene il quotidiano britannico The Guardian, quando afferma che Hula è paragonabile a Srebrenica (Bosnia, 1995), il singolo evento di una lunga guerra che ha spinto la Nato a intervenire contro i serbi. Dopo l'eccidio di Hula sono diventate chiare tre cose agli occhi di tutti i media (soprattutto arabi) che seguono quotidianamente la crisi siriana: il piano di pace di Annan è definitivamente fallito, la proposta non ufficiale di Barack Obama per un esilio volontario di Bashar al Assad è destinata a fallire (perché, come tutti scrivono, dopo Hula il regime ha passato "un punto di non ritorno") e l'unica cosa che l'Onu può fare è l'applicazione del Capitolo VII, cioè la protezione dei civili anche con l'uso della forza.

Tuttavia, questa volta, le immagini del massacro in prima pagina non hanno ottenuto alcun effetto nelle cancellerie delle grandi potenze. In primo luogo perché la Russia pratica ancora l'ostruzionismo più completo ad ogni proposta di risoluzione Onu. La risposta di Putin al massacro è caratterizzata dalla consueta ambiguità, secondo cui "entrambe le parti" sono responsabili del massacro. La Russia, insomma, è l'unica potenza che dà credito alla versione del regime di Damasco: i morti di Hula sono stati uccisi dal "terrorismo" e non dall'esercito regolare siriano. Mosca gioca sull'ambiguità dei rapporti su quanto è accaduto sabato a Hula. Si parla, infatti, sia di bombardamenti che di civili uccisi da "fuoco ravvicinato" o anche da armi bianche. Le due cose, agli occhi dei russi e dei governativi siriani, non sarebbero compatibili: se i civili sono stati uccisi nel corso di combattimenti di strada, da fuoco ravvicinato, allora si deduce che non vi sia stato alcun bombardamento. E così, dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu non è emersa alcuna risoluzione di condanna, ma solo un documento non vincolante in cui vengono messe sotto accusa entrambe le parti, vittime e carnefici. L'unica azione prodotta dall'Onu, lungi dall'essere l'applicazione del Capitolo VII, è l'invio di Kofi Annan a Damasco, per incontrare Assad. Annan, come tutta la stampa araba (giustamente) constata, ha già fallito la sua missione. Aveva chiesto un cessate il fuoco a partire dallo scorso 12 aprile e non c'è stata alcuna tregua. Aveva chiesto il ritiro delle forze militari siriane e la liberazione dei prigionieri politici, e nessuna di queste condizioni è mai stata rispettata. Ieri, arrivando in Siria, Annan ha chiesto a "entrambe le parti" di "deporre le armi": è una lezione su come (non) funziona l'Onu.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:07