La Grecia nell'euro a tutti i costi

Noi vogliamo veramente che la Grecia resti, a tutti i costi, nell'eurozona? Parrebbe proprio di sì, a giudicare dalle parole di Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio Europeo: «Noi vogliamo che la Grecia rimanga nell'eurozona, rispettando i suoi impegni». Lo ha dichiarato ieri, in conferenza stampa, all'indomani del summit informale dell'Ue a Bruxelles. Voi cosa potete dedurre da questa frase? La cancelliera tedesca Angela Merkel intenderà certamente la seconda parte del ragionamento: "rispettare gli impegni". Ma è importante capire come i greci interpretino questo segnale. Il prossimo vincitore delle elezioni, stando a tutti i sondaggi, sarà Alexis Tsipras, leader della coalizione di sinistra massimalista Syriza. Il suo programma è semplice: stracciare gli impegni presi con la troika (Fmi, Bce, Ue), che prevedono tagli ai posti di lavoro, agli stipendi pubblici e alle pensioni, oltre che un aumento delle tasse. In un'intervista rilasciata (il 18 maggio scorso) al quotidiano Wall Street Journal, Tsipras ha dimostrato di ragionare secondo la massima del "muoia Sansone con tutti i Filistei": «il tracollo finanziario greco metterebbe in crisi il resto dell'Europa (…); l'Europa dovrebbe valutare una politica più orientata alla crescita per fermare la spirale recessiva greca e far fronte (…) alla crescente crisi umanitaria che il paese sta fronteggiando». Quindi Tsipras è convinto che Bruxelles salverà la Grecia, costi quel che costi. 

La prima parte del ragionamento di Van Rompuy, quel "Noi vogliamo che la Grecia rimanga nell'eurozona" è l'unica che conta per i politici e per l'elettorato del Paese mediterraneo in crisi. Ed è rafforzata da altre dichiarazioni di Van Rompuy: «L'eurozona ha mostrato una notevole solidarietà, ha già sborsato, assieme all'Fmi, circa 150 miliardi di euro a sostegno della Grecia sin dal 2010». Un rigorista potrebbe commentare "abbiamo già dato, ora basta così". Ma un politico greco potrebbe benissimo rispondere: "se siete stati disposti ad aiutarci fin qui, fatelo ancora, per il vostro stesso bene". E il primo ministro greco provvisorio, Panagiotis Pikrammenos, è realmente di questa idea: uscito dal summit informale di Bruxelles ha dichiarato, con un certo sollievo, che «quasi tutti» gli Stati dell'Ue abbiano mostrato la volontà di sostenere il suo Paese. «Assicureremo che i fondi strutturali europei e tutti gli strumenti necessari siano mobilitati per rimettere la Grecia sulla via della crescita e della creazione di nuovi posti di lavoro», ha aggiunto Van Rompuy.

Dopo messaggi così rassicuranti, è chiaro che Syriza avrà ancora più chance di vincere le prossime elezioni del 17 giugno e formare, ad Atene, un governo anti-austerity. Ma a questo punto la palla passerà di nuovo a Bruxelles. Quanti sono disposti a continuare a dare centinaia di miliardi di euro in aiuti a un Paese che ha un debito pubblico pari al 160% del Pil e… non intende riformarsi? La reazione reale dell'eurozona, al di là delle buone intenzioni dichiarate, potrebbe essere molto più dura del previsto. E non è un caso che, uno studio (che è trapelato alla stampa, poi negato, poi ancora riconfermato) dell'Euro Working Group (il gruppo tecnico dei ministeri delle Finanze europei) abbia invitato ogni singolo Paese membro a preparare un "piano B" in caso di uscita della Grecia dall'euro.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:17