L'Iran ad un passo dall'atomica

Fra l'angoscia degli israeliani e lo scetticismo dei governi occidentali, ieri è iniziato il nuovo round di colloqui sul nucleare iraniano.

La buona notizia è che il negoziato si svolge a Baghdad. È il secondo grande evento in due mesi (dopo il summit della Lega Araba) nella capitale irachena, a testimonianza della rinascita della nazione araba martoriata dal ventennio di Saddam e da un decennio di guerra civile. I protagonisti del dialogo sono gli stessi di sempre: da una parte i "5+1" (i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza Onu più la Germania), dall'altra il solo Iran. L'obiettivo dei 5+1 è indurre la Repubblica Islamica a fermare il programma di arricchimento dell'uranio, l'ultimo passo prima della raccolta di materiale fissile adatto alle bombe atomiche.

Ma questo tentativo sarà «futile». Non lo dice il premier israeliano Benjamin Netanyahu, da sempre scettico sull'utilità dei negoziati, ma lo stesso ministro degli Esteri iraniano, Ali Akhbar Salehi. Nella sua conferenza stampa, tenuta a Teheran prima dell'inizio dei colloqui con i "grandi", afferma di non voler arretrare di un solo passo, anche se si dice «ottimista» sull'esito dei negoziati. Un funzionario iraniano, citato sotto anonimato dalla Bbc, dichiara che Teheran abbia preparato un pacchetto di 5 proposte, «basate sui principi della gradualità e della reciprocità». Cinque mosse da compiere, una dopo l'altra, da entrambe le parti per ripristinare la fiducia.

Ma che fiducia si deve avere nei confronti di chi, per partito preso, non vuole sospendere l'arricchimento dell'uranio? Il presidente Mahmoud Ahmadinejad assicura che il programma nucleare sia pacifico. Lo ha ribadito anche alla vigilia dei colloqui: «Basandoci sugli insegnamenti islamici e su una chiara fatwa (editto religioso, ndr) della Guida Suprema, la produzione e l'uso di armi di distruzione di massa è proibita e non trova spazio nella dottrina militare difensiva della Repubblica Islamica dell'Iran». Ma c'è chi non crede alle premesse religiose di Ahmadinejad. Soprattutto considerando che la stessa Guida Suprema, l'ayatollah Alì Khamenei, solo due anni fa dichiarava, citando il suo predecessore Khomeini: «Il loro possesso (della armi nucleari, ndr) era l'unico modo di garantire la sopravvivenza della rivoluzione islamica, difendendola dalle mire dei suoi nemici. E per preparare l'emergere dell'Imam Mahdi, che riporterà il mondo sotto la legge islamica».

È questa visione messianica e apocalittica, oltre alle numerose dichiarazioni di Ahmadinejad sulla volontà di «spazzar via Israele dalla carta geografica» che non permettono di dormire sonni tranquilli. Di qui nasce l'angoscia di Israele. E le dichiarazioni di scetticismo, ai confini con l'allarmismo, rilasciate ieri da Ehud Barak, ministro della Difesa. Secondo il ministro, laburista, le richieste occidentali sono "minime". Anche se le accettasse tutte, Teheran potrebbe portare a termine il suo programma nucleare militare. Israele chiede uno stop definitivo all'arricchimento dell'uranio, anche al 3,5%. Perché, come ricorda Barak, quel 3,5% può essere portato al 90% senza apportare alcuna modifica agli impianti attuali e senza possibilità di verifica. Insomma, questa potrebbe essere «l'ultima occasione» per fermare pacificamente l'Iran.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:47