Vendette di regime contro Chen

Chen Guangcheng e la sua famiglia sono ancora nel ventre della balena cinese, ma in 15 giorni potrebbero ottenere il suo passaporto per trasferirsi negli Stati Uniti. L'avvocato e dissidente cieco, che il mese scorso ha tentato la fuga dalla sua casa-prigione, per sei giorni si è rifugiato nell'ambasciata Usa a Pechino e infine è stato restituito alle autorità cinesi, è diventato il peggior caso diplomatico degli ultimi tempi.

Gli Stati Uniti rischiano di perdere la faccia: come hanno potuto restituire un dissidente, che ora rischia la vita (sua e della sua famiglia), ai suoi persecutori? Da Washington giunge la notizia che i visti per Chen e la sua famiglia siano già pronti. L'Università di New York ha richiesto formalmente la presenza dell'avvocato cieco per un periodo di studio. È evidente il tentativo di farli fuggire il prima possibile.

Ma anche per Pechino, il caso Chen si è trasformato in una duplice trappola. Se dovesse rimandare in carcere Chen o uccidere uno dei suoi familiari, si dimostrerebbe, ancora una volta, come uno dei peggiori regimi repressivi al mondo. Questa volta, sotto gli occhi dei media di tutto il mondo. Se dovesse cedere alla richiesta degli Stati Uniti e lasciar andare Chen, al contrario, Pechino si mostrerebbe "arrendevole". E così, la risposta del regime cinese alla "questione Chen" alterna apparenti concessioni a dure rappresaglie sui suoi familiari. La concessione principale è una promessa di accelerazione delle pratiche per il nuovo passaporto. Secondo quanto afferma lo stesso Chen Guangcheng, ricoverato nell'ospedale Chaoiyang di Pechino (dove è sotto stretta sorveglianza della polizia), ufficiali del dipartimento immigrazione si sono recati a fargli visita, promettendogli di completare l'iter burocratico in appena 15 giorni. Tuttavia si tratta di promesse ancora vaghe. «Non ci hanno assicurato che avremo (io, mia moglie e i miei figli, ndr) i nostri passaporti - ha dichiarato Chen in un'intervista rilasciata alla Bbc - Non ci hanno fornito alcuna informazione su date certe».

Le rappresaglie sui familiari, intanto, sono già in corso. Martedì, parlando al telefono con il Congresso statunitense, Chen Guangcheng ha dichiarato che suo nipote, Chen Kegui, sia stato arrestato con l'accusa gravissima di "omicidio volontario". L'avvocato di quest'ultimo afferma che il suo cliente non abbia mai ucciso alcuno, ma abbia semplicemente cercato di difendersi da un gruppo di uomini che aveva fatto irruzione in casa sua, ferendone tre. Le irruzioni di "misteriosi teppisti" nella casa-prigione di Chen Guangcheng e in quelle dei suoi parenti sono diventate una tragica abitudine: sono avvenute ogni qualvolta il dissidente abbia tentato di mettersi in contatto con il mondo esterno.

Chen Guangfu, fratello maggiore di Guangcheng, è stato torturato e picchiato a fine aprile, subito dopo la fuga dell'attivista cieco. Secondo il Chinese Human Rights Defender, Guangfu non ha ancora riacquistato la sensibilità della mano sinistra e del piede destro dopo il supplizio subito ed è stato costretto dalle autorità locali a lasciare casa sua. Il regime di Pechino, insomma, reagisce a colpi di vendette trasversali, in puro stile mafioso. Anche se dovesse risparmiare la vita di Chen Guangcheng, ha già perso la faccia.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:33