Mladic e quei fantasmi degli anni '90

Un fantasma dal passato: il generale serbo Ratko Mladic, da ieri è sotto processo all'Aja per genocidio, crimini di guerra e contro l'umanità.

«Ha guidato la pulizia etnica in Bosnia - ha esordito il rappresentante dell'accusa, Dermot Groome, nel suo intervento in apertura del processo - presenteremo elementi di prova che dimostreranno, al di là di ogni ragionevole dubbio, che c'è la mano di Mladic in ognuno dei crimini» di cui l'ex generale è accusato. Prima di tutto è considerato il principale responsabile del massacro di Srebrenica, la città bosniaca (che avrebbe dovuto essere protetta dai caschi blu del contingente olandese) dove, nel luglio 1995, furono trucidati 8 mila musulmani. Mladic è considerato anche il primo responsabile del lungo assedio di Sarajevo (1992-1995), in cui perirono circa 12mila cittadini e altri 50mila furono feriti e mutilati. L'azione durò 43 mesi e batté un altro drammatico record: quello dell'assedio più lungo della storia contemporanea europea. Su Sarajevo si sa già che fu Mladic a ordinare i bombardamenti indiscriminati sui civili, «a intervalli lenti», per «farli impazzire», come si sente dire dalla sua stessa voce in una comunicazione radio intercettata (ed esposta dai media già negli anni '90). Mladic, che ora ha 70 anni, ha sempre ripetuto e continua a ripetere ancora oggi, dinanzi alla corte internazionale, la sua unica volontà di aver voluto difendere la Serbia e la causa dei serbi dinanzi alla minaccia musulmana. Fece perdere le sue tracce nel 1996, subito dopo la fine del conflitto e l'apertura di un fascicolo a lui intestato ad opera del Tribunale penale dell'Aja.

Nella sua lunga latitanza, Mladic fu protetto fino all'ultimo dai concittadini serbi e (si presume) anche dalle autorità del Paese. Che impatto potrebbe avere il suo processo sulle imminenti elezioni presidenziali in Serbia? Meno di quel che ci si possa attendere. Il vecchio generale non è più una causa di lacerazione politica, perché i Balcani sono profondamente cambiati nell'ultimo decennio. La consegna di Mladic alla giustizia internazionale, da parte di una Serbia ormai democratica da 12 anni, non ha posto fine alla carriera politica di Boris Tadic. Il presidente europeista è tuttora in testa ai sondaggi. E anche il suo rivale, Nikolic, più nazionalista, si è molto avvicinato alla causa filo-Ue per poter competere. Il diretto erede del regime di Slobodan Milosevic, il leader del Partito Socialista Ivica Dacic, era ministro dell'Interno quando Mladic venne catturato e consegnato. La Bosnia-Erzegovina, che quest'anno "celebra" i suoi primi 20 anni dallo scoppio della guerra civile, è ancora una realtà lacerata, divisa fra una repubblica serba e una croato-musulmana che non dialogano. Ma dal 1995 non conosce più conflitti armati. Merito della presenza di un contingente europeo, sicuramente. Ma soprattutto dell'assenza di nazioni esterne che soffiano sul fuoco del conflitto etnico. La Serbia di Milosevic, che nel 1992-1995 forniva armi, addestramento e ufficiali ai suoi connazionali del posto, ora è diventata tutt'altra nazione, come abbiamo visto. L'altra ingerenza, croata, è anch'essa un fatto passato: la Croazia di oggi non è più quella nazionalista, guidata da Franjo Tudjman, pronta ad annettersi il suo pezzo di Balcani, ma una stabile democrazia ben instradata nella Nato e nell'Unione Europea.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:31