L'Onu si perde sulla via di Damasco

«Cosa possono fare 50 osservatori Onu in Siria?» Se lo è domandato il primo ministro turco Recep Tayyp Erdogan in visita ufficiale a Roma lo scorso 8 maggio. «Le speranze di risolvere la crisi siriana si affievoliscono con il passare dei giorni. Pertanto - ha ammesso Erdogan - non so più che cosa auspicare». Pare che stavolta l'unica via d'uscita dalla crisi siriana sia proprio l'intervento armato, nonostante il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si affanni ancora nel disperato tentativo di evitare lo scontro armato. Ma una soluzione diplomatica di fatto non c'è.

Le chance di salvare la Siria dal baratro della guerra civile si stanno riducendo in maniera drastica. Lo dimostrano gli ultimi due attentati messi a punto a Damasco nelle giornate di mercoledì e giovedì; lo dimostrano gli inutili sforzi degli osservatori internazionali spediti sul fronte siriano con il compito di convincere Assad a deporre le sue di armi. Gli strumenti della diplomazia internazionale si sono inceppati sulla via di Damasco.

Non ha funzionato la prima missione di osservatori della Lega Araba inviati sul campo tra dicembre e gennaio. Tanto meno ha funzionato la mediazione del jolly diplomatico Kofi Annan con il suo piano di pace in sei punti, rimasto sulla carta. I tentativi di convincere Assad a collaborare sono caduti nel vuoto. Il 27 marzo scorso la stampa internazionale rendeva nota la decisione del regime siriano di "accettare il piano di pace" di Kofi Annan. Si parlava di "svolta del regime di Damasco" che finalmente aveva detto si alla transizione chiesta da Onu e Lega Araba.  Una tregua garantita solo a parole.

Dieci giorni dopo, neanche il tempo di rispettare il cessate il fuoco e operare il ritiro dell'esercito dalle strade siriane, il regime ha voltato le spalle alla comunità internazionale. Lo ha fatto non con un comunicato stampa, ma imbracciando le armi e aprendo il fuoco in direzione dei campi profughi sorti al confine turco. Mille morti in sette giorni dall'inizio della missione araba sono la prova tangibile della ferocia del regime. Il centro di documentazione delle violazioni in Siria mensilmente fornisce cifre e aggiornamenti sul numero delle vittime, dall'inizio della rivolta. L'ultimo "bollettino" risale al 30 aprile scorso. Di seguito il numero delle vittime e l'elenco delle principali città coinvolte nella repressione. Aleppo (327 vittime), Idlib (1741), Hama (1325), Damasco (221) e sobborghi (970), Dara'a (1123), Homs (4198), Latakia (216). Una regione intera messa a ferro e fuoco oramai da 13 mesi, dove le uccisioni sistematiche rappresentano oramai la prassi. Dall'inizio della rivolta (marzo 2011) si contano 10656 morti. La maggior parte delle vittime sono civili (9.954), tra cui donne e bambini. Le cifre riportate forniscono un quadro preciso della crisi irreversibile e, insieme, dell'incapacità internazionale di fermare la crescente violenza.

Sul fronte della diplomazia si registrano al momento due missioni internazionali. Una archiviata a gennaio e la seconda partita ad aprile, ma che non sembra promettere nulla di buono. Nove mesi dopo l'inizio delle rivolte e 5000 morti accertati fino a quel momento, Onu e Lega Araba iniziano a sentire sulle spalle il peso della responsabilità. Ciò si traduce in un'azione mirata promossa da Lega Araba, mentre al Palazzo di Vetro si preferisce agire dietro le quinte. Il 22 dicembre 2011 una prima squadra di osservatori arabi formata da esperti civili e militari giunge a Damasco. La seconda tranche guidata dal capo missione, il generale Muhammad Ahmad Mustafa Al-Dabi, raggiunge Homs una settimana dopo. Il lavoro degli osservatori sembra svolgersi in un clima di distensione e collaborazione da parte del regime. L'apparente tregua si spezza nel giro di qualche giorno. Assad non mostra la minima intenzione di collaborare con Lega Araba. Continua ad uccidere a sangue freddo civili e oppositori, nonostante gli ospiti internazionali in casa.

Ma la missione della Lega Araba non è imputabile esclusivamente al prevedibile voltagabbana del tiranno, bensì anche a carenze interne alla missione stessa. Nel rapporto parziale presentato l'8 gennaio al Cairo, il capo missione Dabi lamenta la mancanza di apparecchiature adeguate al profilo del compito assegnato. Solo dieci telefoni satellitari concessi a 166 delegati e un numero esiguo di radio trasmittenti portatili. Per non parlare del numero stringato di veicoli a disposizione, non sufficienti a coprire la vasta area da monitorare. Oltre alle difficoltà logistiche, anche il team di osservatori ha mostrato i suoi limiti. «Esperti non tutti qualificati per il lavoro, senza alcuna esperienza e non in grado di assumersi la responsabilità». Così li definisce il capo missione Dabi nel suo report. Tra funzionari poco esperti, altri impossibilitati a svolgere il loro ruolo per motivi di salute e altri ancora scarsamente motivati, la missione della Lega Araba è fallita su tutta la linea. Neanche tre mesi dopo, la comunità internazionale ci riprova puntando su Kofi Annan. L'inviato speciale delle Nazioni Unite in Siria redige un piano di pace in sei punti, dove si contemplano la fine della violenze entro le 3 del mattino del 10 aprile; l'avvio di un processo politico aperto; la tregua umanitaria e il rilascio delle persone arrestate arbitrariamente; la libera circolazione dei giornalisti in Siria; il rispetto del diritto di manifestare. Allo stato attuale nessuno di questi punti è stato rispettato. Per la seconda volta il regime di Damasco si è preso gioco della comunità internazionale, garantendo la piena collaborazione e nel contempo sparando sui civili. È chiaro come la soluzione alla crisi siriana non possa giungere dall'esterno. E non aiuta di certo la missione internazionale in atto da aprile in Siria. L'attentato del 9 maggio scorso contro un convoglio delle Nazioni Unite è un evidente segnale dell'insofferenza del regime nei confronti di presenze esterne.

Assad non è intenzionato a mollare la presa e arrendersi alle pressioni internazionali. Nemmeno i Paesi che lo sostengono con periodici rifornimenti di armi sembrano orientati in direzione "del cessate il fuoco".

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 16:51