Atene accetti i tagli o esca dall'euro

O la Grecia raggiunge un accordo per un governo nuovo, o va fuori dall'euro. Mentre nel Paese si delinea uno scenario da "sette piaghe", con un'invasione di cavallette in corso nelle regioni settentrionali, nella scena politica non sembrano più esserci altre alternative. Dopo il fallimento di Antonis Samaras (Nea Demokratia, centro-destra) e di Alexis Tsipras (Syriza, sinistra massimalista), da ieri tocca a Evangelos Venizelos (Pasok, socialista) tentare di costituire una coalizione di governo. Ha parlato, prima di tutto, con Tsipras, ma non è trapelato nulla dei loro colloqui. Ha ottenuto una risposta positiva dalla Sinistra Democratica, un'altra formazione di centro-sinistra, troppo piccola (appena 19 seggi) per formare un governo. Anche i negoziati con Nea Demokratia, ieri pomeriggio, parevano promettenti. Ma è stato proprio il leader della Sinistra Democratica, Fotis Kouvelis, a invertire la rotta nel tardo pomeriggio, escludendo la possibilità di formare una coalizione anche con la «irresponsabile» Syriza. Il partito di sinistra massimalista, infatti, chiede di respingere il piano di austerity previsto negli accordi con la "troika" internazionale, in cambio degli aiuti.

Il Pasok stesso è sotto attacco. Un sondaggio, pubblicato ieri su Alpha Tv, rivela che, se si tornasse alle urne, verrebbe votato solo dal 12% della popolazione. Per lanciare un segnale forte, Venizelos ha ordinato di fare letteralmente piazza pulita nei ranghi del suo partito. Ha sciolto tutti i suoi organismi interni e ha chiesto le dimissioni dei membri dell'ufficio politico. Vuol ricominciare tutto da capo, dopo 38 anni (dal 1974 ad oggi) di "onorato" servizio al Paese. A mali estremi, estremi rimedi. Ma potrebbe non bastare. Perché se non fosse raggiunto un accordo di governo, si dovrebbe tornare al voto. Stando allo stesso sondaggio di Alpha Tv, la forza vincitrice alle urne sarebbe Syriza, con quasi il 30% dei consensi. Circa il doppio di quelli che guadagnato nelle ultime elezioni.

La Germania si sta preparando a questi scenari. Ieri, il ministro delle Finanze Wolfgang Scheuble ha dichiarato al Rheinische Post che, in ogni caso, l'Ue non rischierebbe di affondare, anche nel caso la Grecia uscisse dall'eurozona. Sembra un chiaro invito ai greci: se ne vadano pure. D'altra parte le banche creditrici hanno avuto tre anni per ridurre la loro esposizione e un eventuale default di Atene (nell'euro o fuori dalla moneta unica) non comporterebbe più conseguenze drammatiche per il sistema creditizio. Un default avverrebbe sicuramente se non fosse concesso il piano di aiuto (240 miliardi di euro) concordata da Unione Europea, Banca Centrale Europea (la famosa "troika"). E su questo punto, il ministro degli Esteri tedesco Guido Westerwelle, è stato chiaro quanto il suo collega alle Finanze: «Vogliamo aiutare e aiuteremo la Grecia, ma i greci devono essere pronti ad accettare il nostro aiuto. Se Atene non rispetterà il piano di riforme promesse, non sarà possibile più alcun pagamento di future tranche (del piano di aiuti, ndr). La solidarietà non è a senso unico». Le riforme citate da Westerwelle consistono in tagli alla spesa pubblica pari a 14 miliardi e mezzo di euro. Il piano che Syriza vuole strappare e sul cui rifiuto vincola ogni accordo di governo. Stando così le cose, alla Grecia non resta che una via a "senso unico": fuori dall'euro.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:09