La guerra umanitaria a Al-Qaeda

Il processo militare alle 5 presunte menti del complotto dell'11 settembre 2001, rischia di trasformarsi in un doppione del processo Breivik in Norvegia: un palcoscenico usato dagli imputati per fare la loro propaganda. È questa la realtà che sta emergendo dai primi reportage da Guantanamo. I cinque uomini, accusati del più sanguinoso attentato della storia, ignorano la corte, la disturbano, lanciano proclami e seguono, assieme ai loro avvocati, tattiche dilatorie di ogni genere. Secondo il reporter del New York Times, Khalid Sheik Mohammad, considerato il principale artefice del piano di attacco e reo confesso della decapitazione del giornalista Daniel Pearl, si è rifiutato di indossare le cuffie per la traduzione simultanea, obbligando la corte a sospendere il procedimento. Secondo il New York Post, uno degli accusati, Walid bin Attash, rifiutandosi di recarsi di fronte al giudice con le proprie gambe, è stato trasportato in aula con una sedia a rotelle. Ramzi Binalshibh ha irriso le famiglie delle vittime dell'11 settembre presenti al processo. Un vero circo, una presa in giro della giustizia americana.

Ma c'è di più. Il processo si sta trasformando in un atto di accusa contro la Cia e i suoi metodi di "interrogatorio potenziato", che gli attivisti dei diritti umani definiscono, senza mezzi termini, "tortura". Sono ricominciate a pieno ritmo le inchieste giornalistiche sui metodi degli agenti americani. Il direttore della sezione antiterrorismo della Cia, José Rodriguez, si è difeso ai microfoni della Bbc affermando che, prima del 2009, il "waterboarding" (annegamento simulato) non fosse considerato come una forma di tortura e fosse dunque legale. Anche la privazione del sonno, a cui è stato sottoposto Khalid Sheik Mohammad per ben 180 ore, non è considerata una forma di tortura. Rodriguez, tuttavia, afferma di aver distrutto i video che documentano il trattamento subito dagli jihadisti, in particolar modo quello inflitto ad Abu Zubaydah, il "postino" di Bin Laden. Non si tratta solo di curiosità: in ogni sistema garantista (compreso quello statunitense), le informazioni estorte sotto tortura non sono legali. Quindi, più si intensifica il dibattito sui metodi di interrogatorio, più il processo di Guantanamo è a rischio. Parallelamente a questa storia, un'altra vicenda è balzata agli onori della cronaca. Quella del nuovo attentato di Al Qaeda sventato dagli americani. Ieri è stata confermata la notizia che il protagonista dell'operazione fosse un agente doppiogiochista: un agente saudita si è infiltrato nella cellula yemenita di Al Qaeda che stava preparando la nuova strage di americani.

Si è fatto reclutare per la missione suicida. Poi ha consegnato tutto, informazioni ed esplosivi, agli americani. Fahd al Quso, capo della cellula, è stato ucciso in un raid aereo americano. Queste due vicende sono direttamente correlate. L'amministrazione del premio Nobel per la Pace Barack Obama, ha bandito il rapimento e la tortura dei jihadisti. Preferisce infiltrare le loro cellule e ucciderli sul posto. Un processo a porte aperte è troppo rischioso, diventa un boomerang per l'opinione pubblica. Un'eliminazione mirata, in terre lontane, conquista poche righe nelle cronache di esteri. Occhio non vede, cuore non duole e tutti sembrano più buoni.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:45