Se la Grecia strappa con l'Ue

Dopo le elezioni, la Grecia sembra essere entrata in vite. Non essendoci alcuna maggioranza chiara, i partiti sono ancora impegnati in una lunga fase negoziale per cercare di formare una coalizione di governo. Compito difficile in sé, ma reso ancor più complesso dalla posizione dominante dei partiti estremisti. Alba Dorata, neonazista, è stato ben presto isolato. Ma l'estrema destra, benché temibile, è solo una piccola parte del problema.

La formazione che sta giocando la parte dell'ago della bilancia, infatti, è la coalizione di estrema sinistra Syriza, costituita da un arcipelago di partiti e movimenti post-comunisti, ecologisti e no-global. Syriza ha ottenuto il 16,9% dei voti, stando al conteggio finale e ha conquistato 52 seggi su un totale di 300. Il suo leader, Alexis Tsipras, si dichiara disponibile a formare una coalizione di governo sia con Nea Demokratia di Antonis Samaras (108 seggi), sia con il Pasok, socialista, di Evangelos Venizelos (41 seggi). In quest'ultimo caso verrebbe, con tutta probabilità, coinvolto anche il Partito Comunista, il Kke (26 seggi) per formare un'alleanza delle sinistre unite. Ma l'ingresso di Tsiparas al governo non è gratuito. Chiede che, chiunque scelga di formare una coalizione con il suo partito, accetti di «stracciare» il piano di austerità concordato con la "troika": Unione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale. E qui si apre un problema politico e… pratico.

Il primo è presto individuabile: il Pasok ha negoziato e accettato il piano con la "troika" e se ne è fatto garante. Nea Demokratia non era al governo prima delle elezioni, ma non ha mai accennato alla possibilità di stracciare il piano di austerità. Nel caso non venga raggiunto un accordo entro i prossimi due giorni, il mandato di formare un governo passerebbe a Venizelos. Se anche lui dovesse fallire, dovrebbero essere indette nuove elezioni il mese prossimo. Nell'incertezza, la Grecia perderebbe di credibilità agli occhi delle istituzioni internazionali e verrebbe messo a rischio il piano di aiuti (240 miliardi di euro) destinato ad Atene. E qui subentra il problema pratico: una coalizione di governo avrebbe tutto il potere di stracciare il piano di austerità, evitando tagli a salari e pensioni, nuove tasse e licenziamenti nel settore pubblico. Ma poi? Atene uscirebbe dall'euro. E quindi? Farebbe default. E come ne uscirebbe, se nessuno fosse più disposto a investire o a far credito a un Paese che non sa, non può e non vuole riformarsi?

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:47