Vladimir Putin, Zar di tutte le Russie

Vladimir Putin è asceso di nuovo al trono del Cremlino. Si è trattata di una vera e propria incoronazione: salve di cannone, pochi ospiti illustri, un reggimento passato in rassegna, vie e fermate della metropolitana blindate per evitare contestazioni. Il presidente ha giurato sui diritti e le libertà dei cittadini, sulla difesa della Costituzione della Federazione Russa, sull'integrità e la sovranità della Russia. Ha promesso di lavorare per il popolo, per conto del popolo. Ma il popolo mancava all'appello. In tutto il percorso presidenziale, Novij Arbat e vie collaterali, la gente non poteva nemmeno uscire di casa. Il passaggio di consegne è avvenuto quasi un fatto privato, fra amici. L'ex presidente Dmitri Medvedev ha consegnato a Vladimir Putin la valigetta con i codici di lancio delle testate nucleari. Il nuovo presidente ha, in cambio, proposto alla Duma (la camera bassa del Parlamento) la nomina di Medvedev a Primo Ministro. E sarà difficile che il potere legislativo possa disobbedire. È questo il volto della "democrazia controllata" russa? Il ri-eletto presidente ha vinto con il 63% dei voti. Ma il consenso nei suoi confronti non si vede nelle piazze. Che, anzi, si sono riempite di suoi oppositori. Il 6 maggio, alla vigilia dell'insediamento al Cremlino, i manifestanti erano 20mila (secondo la polizia erano 8000), 436 dei quali sono stati subito arrestati. A tutti gli altri è toccata una razione di cariche, gas lacrimogeni e manganellate. Anche ieri, giorno dell'insediamento, gli oppositori sono tornati in piazza e altri 120 sono finiti in manette.

Putin promette, comunque, una politica estera energica. La sua prima tappa sarà la Repubblica Popolare Cinese. E anche questo è sintomatico di una Russia che, nel cercare alleati e partner, guarda all'Asia più che all'Europa. I toni da Guerra Fredda, la retorica del confronto duro con l'Occidente, stanno montando in tutte queste settimane, soprattutto contro la Nato e il suo progetto di nuovo scudo anti-missile.

A questo strano miscuglio di metodi zaristi e militarismo sovietico, una parte dell'opinione pubblica russa risponde guardando ai leader emergenti dell'opposizione. Ma anche qui troviamo personaggi dall'ideologia tutt'altro che democratica, assieme a sinceri liberali. È liberale Boris Nemtsov, fermato ieri dalla polizia, ex ministro sotto Eltsin e sostenitore di radicali riforme economiche e civili. Non è liberale Sergei Udaltsov, arrestato il 6 maggio e subito rilasciato. È leader della sinistra radicale dalla fine degli anni '90 ed è ora alleato con il neo-stalinista Gennadij Zjuganov. Non si sa se sia liberale o nazionalista il 35enne blogger Aleksej Navalnij, anch'egli arrestato il 6 maggio, grande accusatore della corruzione del sistema putiniano. Nel 2007 era stato espulso dal partito Yabloko per la sua retorica nazionalista. Eppure proclama la volontà di riforme democratiche. Non è certamente liberale neppure Eduard Limonov, leader del Partito Nazional-Bolscevico. Il cui nome è già tutto un programma. In piazza, il 6 maggio, contro Putin venivano sventolate soprattutto bandiere rosse e falci-e-martello, stelle e vecchi vessilli militari sovietici. Oppure i tricolori nazionalisti bianco-giallo-neri. È l'altra faccia della medaglia di una Russia sempre più lontana dall'Occidente.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:22