Il governo

Alla fine abbiamo pagato. È stata confermata la notizia, fino a ieri ancora ufficiosa, dell'accordo fra il governo italiano e le famiglie dei due pescatori indiani del St. Antony uccisi lo scorso 15 febbraio. Non è affatto detto che i colpevoli della loro uccisione siano proprio i due marò italiani, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, tuttora in carcere in India. Ma intanto si paga: il governo italiano e i familiari dei due pescatori hanno firmato ieri un accordo extragiudiziale davanti all'Alta Corte del Kerala. La scorsa settimana, Roma aveva offerto come donazione "ex gratia" 10 milioni di rupie (quasi 150mila euro) a ciascuna famiglia. Non saranno certo questi 300mila euro a dare il colpo di grazie alle finanze italiane. Ma è il principio con cui vengono pagati che è, quantomeno, discutibile. Vediamo perché.

La petroliera Enrica Lexie, su cui i due marò erano imbarcati, è ancora sotto sequestro nel porto di Kochi. Sulla sua sorte è in corso un braccio di ferro fra il governo centrale indiano e i locali. Il sindacato dei pescatori dello stato del Kerala non vuole lasciar andare la nave. Esprime pubblicamente indignazione perché New Delhi ammetterebbe il suo rilascio, visto che l'incidente del St. Antony è avvenuto in acque internazionali. Per il 28 di aprile è dunque prevista una manifestazione di protesta dei pescatori. Lasciar andare l'Enrica Lexie sarebbe un'implicita ammissione di colpa da parte dell'India. Se l'incidente fosse realmente avvenuto in acque internazionali, infatti, perché due militari italiani che erano a bordo sono tuttora sotto processo in India?

Nonostante la Corte Suprema indiana abbia ammesso il ricorso italiano sulla giurisdizione, contraddicendo se stesso, il governo di New Delhi, ieri pomeriggio, è tornato a ribadire che il caso spetti ancora all'India. Lo ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri di New Delhi, in conferenza stampa: «Come sapete, presso la Corte Suprema è stato presentato un ricorso sulla giurisdizione della legge indiana in merito all'arresto di due militari italiani e il governo indiano presenterà le sue osservazioni nella prossima seduta dell'8 maggio», ha precisato il portavoce Syed Akbaruddin rispondendo a una domanda dei giornalisti. Ricordando di essere a conoscenza che «ci sono opinioni diverse» sulla questione e che «l'India è una democrazia», ha poi aggiunto che il governo «si adeguerà al responso della Corte Suprema». Dunque, fino all'8 maggio, non ci sarà alcuna certezza neppure sul ritorno dei due marò in Italia.

A tutto ciò aggiungiamo che Latorre e Girone sono in carcere senza prove certe. La perizia balistica non ha ancora prodotto risultati e i suoi tempi estremamente dilatati (due mesi, ormai) fanno presumere che i periti indiani non abbiano trovato prove. Le testimonianze indiane sono contraddittorie. E i due marò si proclamano innocenti: nel loro rapporto parlano di colpi di avvertimento contro un'imbarcazione che non corrisponde alla descrizione del St. Antony. 

Dunque, riassumendo: l'India ammette che l'incidente sia avvenuto in acque internazionali, ma rivendica per sé la giurisdizione del caso, nel frattempo tiene due militari italiani in galera, pur non avendo prove, né testimonianze attendibili contro di loro. Ma noi paghiamo ugualmente, ammettendo la nostra colpa.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:29