La Siria, tra farsa e tragedia

La tragedia e la farsa continuano ad alternarsi nella crisi della Siria. La tragedia è una repressione che ha provocato, stando alle stime delle Nazioni Unite, circa 9mila morti, in gran parte civili. La farsa, anzi, la commedia, l'ha recitata ieri lo zio del dittatore Bashar al Assad, Rifaat. Ai microfoni della Bbc ha dichiarato che il potere assoluto di suo nipote «non durerà a lungo», perché «il livello di violenza è troppo alto» per essere sostenuto. «Il problema è ora generale, riguarda tutte le province della Siria - ha dichiarato Rifaat - non c'è più alcun luogo che fugga dalla violenza e dunque non penso che (Assad, ndr) possa restare al potere». Tuttavia, pensa lo zio, «Il signor Assad dovrebbe restare, per cooperare con un nuovo governo e per offrire la sua esperienza». È una dichiarazione ambigua che si spiega solo con il passato di Rifaat: nel 1982 guidò la repressione militare della rivolta dei Fratelli Musulmani a Hama, provocando un numero di vittime che va dalle 10mila alle 25mila, a seconda delle stime. Dunque, non è per motivi umanitari che lo zio del dittatore pensa che il suo nipote se ne debba andare. Semmai per motivi personali e familiari. Dopo la repressione di Hama, infatti, tentò di spodestare Hafez (padre di Bashar), approfittando di un suo infarto. Ma Assad "il vecchio" si riprese in fretta e fece cacciare il fratello infedele dalla Siria nel 1984. Benché esule e privato del titolo di vicepresidente (che mantenne formalmente sino al 1998), Rifaat rimase molto amareggiato dalla successione del potere nelle mani di Bashar, alla morte di Hafez nel 2000. Allora sperava ancora di prendere il potere e commentò laconicamente la notizia del passaggio di consegne definendolo una «vera farsa e una pièce teatrale incostituzionale».

Intanto la tragedia della repressione continua. Sono almeno 6 le persone uccise ieri dalle forze di sicurezza fedeli ad Assad, secondo quanto riferiscono i Comitati di coordinamento locali (dissidenti). I Comitati stessi hanno documentato, con foto e video diffusi in Internet, un inasprimento della repressione militare in diverse regioni del Paese, compresi i sobborghi di Damasco.

Tenendo ben presente questa situazione drammatica, quella che potrebbe essere la farsa dei prossimi giorni è l'annuncio, da parte di Bashar al Assad, di una sospensione di tutte le operazioni militari per il prossimo 10 aprile, il termine dettato dall'accordo raggiunto con Kofi Annan, inviato speciale (ed ex segretario generale) delle Nazioni Unite. Entro quella data, il regime di Damasco dovrà rispettare un cessate-il-fuoco generale; permettere l'arrivo di aiuti umanitari nelle zone colpite dal conflitto; aprire un dialogo politico fra il regime e gli oppositori; rilasciare tutti i prigionieri detenuti in modo arbitrario; permettere l'ingresso e la libertà di stampa dei giornalisti stranieri; garantire libertà di associazione e di dimostrazione pacifica. Tutte le promesse del regimi di Damasco, sinora, sono state disattese. Magari questa è la volta buona. A monitorare il rispetto di queste condizioni saranno 250 caschi blu, reclutati fra i contingenti già presenti in Libano e sulle alture del Golan. Ma dovranno essere disarmati. Si opera, infatti, in un territorio sovrano, sotto un governo riconosciuto e non è possibile inviare una "forza di pace" vera e propria.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:46