Quattordici anni dopo Giovanni Paolo II, Benedetto XVI arriva a Cuba. Una lunga stretta di mano di un ossequioso Raul Castro, la banda militare e 21 salve di cannone hanno preceduto un breve discorso del presidente, questa volta in borghese. Un look nuovo per un discorso in cui promette qualche astratta riforma: Cuba è cambiata «in ciò che doveva essere cambiato, sulla base delle più alte aspirazioni del popolo cubano». Ma il discorso è infarcito della vecchia retorica anti-americana: la nazione più potente che abbia «mai conosciuto la storia, ha cercato senza riuscirci di toglierci la libertà. Il popolo cubano ha opposto resistenza».
La resistenza, in effetti, il popolo la sta opponendo: al regime, però. La visita del Pontefice è stata preceduta da un'ondata di repressione. Sono stati almeno 150 gli arresti "preventivi" del regime. Un'operazione di «pulizia ideologica», come la definisce la blogger Yoani Sanchez, per evitare che gli anti-castristi "turbino" la visita del pontefice. Uno dei "disturbatori" è riuscito a sfuggire alla sicurezza e a gridare «Abbasso il comunismo», poco prima dell'inizio della messa in piazza a Santiago de Cuba. Il contestatore è stato subito circondato, picchiato, portato via. Un «piccolo incidente», secondo il portavoce del Vaticano, Federico Lombardi, che «ha messo a confronto due diritti che devono potersi esercitare». Da un lato «i fedeli che vogliono stare con il Papa ed hanno il diritto di farlo senza complicazioni», dall'altro il diritto «di manifestare le proprie opinioni». Ma i cubani non hanno affatto libertà di manifestare le loro opinioni. E «Castro, come tanti suoi seguaci nel mondo, interpreterà questa visita come una legittimazione della dittatura: già il Granma ha scritto che "il Papa troverà un popolo nobile, istruito, equo e organizzato", mentre la verità è che il popolo è martirizzato da 50 anni». Lo scrive, in una lettera aperta a Benedetto XVI, l'Unione per le Libertà a Cuba, associazione degli esuli in Italia.
Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:47
