I "traffici di morte", come li chiama il dissidente Harry Wu, i trapianti degli organi dei condannati a morte in Cina, termineranno entro il 2017. Così, almeno, promette il Partito Comunista. Non è detto che manterrà la parola data, ma almeno un passo avanti è già stato compiuto: il regime di Pechino, per la prima volta ammette l'esistenza di questo scandaloso traffico di "pezzi di ricambio" umani. Una prima rivelazione ufficiale è stata fatta lo scorso 17 marzo, ma solo parziale: Pechino ha parlato solo di espianti da "volontari che ne esprimono la volontà". La volontarietà è stata prescritta da una legge relativamente recente, risalente al 2007. In realtà, secondo le testimonianze raccolte dalla Laogai Research Foundation, è prassi che le ambulanze si rechino nei luoghi delle fucilazioni per espiantare tutti gli organi possibili dai corpi dei condannati, immediatamente dopo l'esecuzione. Secondo le Nazioni Unite, che nel 2009 inviarono un loro membro a visitare le galere cinesi, Pechino "fa pressione sui detenuti per ottenerne la disponibilità alla donazione degli organi". Due anni prima, nel 2007 (quando fu emessa la nuova legge cinese sui trapianti), l'Ong Human Rights Watch, denunciava la stessa cosa: "Parliamo di condannati a morte che possono essere soggetti a qualunque pressione - si legge nel rapporto di allora - e quindi il loro non può essere un gesto volontario". Huang Jiefu, ministro della Sanità, ha spiegato le ragioni dell'abolizione di queste pratiche: "Le donazioni dai prigionieri non sono affatto ideali perché i detenuti tendono ad avere alti tassi di infezioni di funghi e di batteri. Dunque, i tassi di sopravvivenza dei soggetti con organi trapiantati in Cina risultano essere stabilmente al di sotto di quelli negli altri Paesi". Quindi il regime non ammette assolutamente la natura criminale di questo "commercio", tantomeno agisce mosso da una sensibilità umanitaria. Si tratta semplicemente di massimizzare l'efficienza della sanità e di evitare scandali internazionali. Perché, tra l'altro, la documentazione raccolta da Harry Wu dimostra come questo "mercato" non si limiti alla sola Cina. Le vittime dei "traffici di morte" sono soprattutto membri di minoranze etniche e religiose: tibetani, uiguri, cristiani e soprattutto i praticanti del Falun Gong (che hanno subito una campagna di esecuzioni con migliaia di vittime nel 1999), ingrossano le file dei prigionieri donatori tutt'altro che volontari.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 16:47