Forse qualcosa si muove, ma molto lentamente, nel caso dei marò prigionieri in India e della petroliera Enrica Lexie, ancora sotto sequestro. Ieri è stata data, dalle autorità del Kerala, una parziale luce verde per il ritorno della nave, almeno. Secondo quanto riporta la stampa indiana, "sono state raccolte tutte le prove a bordo della nave".
Dunque, il governo del Kerala ha depositato il suo documento presso l'Alta Corte dello stato indiano, in cui autorizzerebbe la partenza della petroliera. Tuttavia, la partenza sarebbe subordinata alla condizione che il capitano e i marò "compaiano davanti a un'autorità competente o a un tribunale nel caso in cui siano necessari ulteriori accertamenti".
L'Enrica Lexie è ancorata nella baia di Kochi da più di un mese, ormai. L'udienza per il rilascio della nave è stata fissata a venerdì prossimo. Per quanto riguarda i marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, invece, i tempi si allungano in continuazione.
Dopo aver prolungato di altre due settimane la loro carcerazione preventiva, l'Alta Corte dello stato del Kerala, ieri, avrebbe dovuto decidere sulla giurisdizione del caso, se spetta alla magistratura indiana o a quella italiana. Ma ha rimandato questa decisione di almeno una settimana. Nell'udienza di ieri, la difesa italiana, guidata dall'avvocato Suhail Dutt, ha smontato tutte le tesi dell'accusa sull'applicabilità della legge indiana nella "zona economica esclusiva", il tratto di mare fino a 200 miglia nautiche che è di competenza dell'India per quanto riguarda lo sfruttamento delle risorse ittiche e naturali.
Ha inoltre ribattuto all'obiezione dell'accusa secondo la quale l'ingaggio dei marò sulla petroliera per il servizio di antipirateria sarebbe frutto di una "trattativa privata" tra i mercantili italiani e lo Stato e che quindi i militari a bordo sarebbero dei semplici "mercenari".
"Nell'accordo è scritto chiaramente che quando sono in servizio hanno la funzione di agenti di polizia", ha dichiarato l'avvocato. Altro punto cruciale messo in rilievo ieri è quello del processo aperto alla Procura di Roma per omicidio a carico di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.
"Non chiediamo la loro liberazione, ma solo la possibilità di giudicarli in base alla legge italiana", ha precisato Dutt. L'argomento degli avvocati del governo e delle famiglie dei due pescatori uccisi è stato, invece, quello di considerare il peschereccio indiano come "luogo dove è stato commesso il crimine" per giustificare l'applicazione extraterritoriale del codice penale indiano.
E comunque, nel frattempo, è spuntata una testimonianza quantomeno singolare. Il capitano del peschereccio, Freddy Bosco, ieri ha dichiarato di non aver mai letto il nome "Enrica Lexie" sulla fiancata della nave da cui provenivano gli spari. "E' stata la polizia a terra a dirci quel nome".
E' sulla base di queste "prove" che due nostri militari sono in carcere in India.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:29