La favola brutta: Violetta e i sette ignavi

Sassolini di Lehner

Pazienti amici del L’Opinione delle libertà, per le festività natalizie sarebbe d’uopo affabularvi e meravigliarvi con una favola bella, magari con lieto fine muliebre. Purtroppo, al giorno d’oggi, Biancaneve e Cenerentola non se la passano tanto bene, al punto da dover invidiare Cappuccetto Rosso, bimba cotta e magnata, ma non picchiata, stuprata o sfregiata. Perciò, vi racconterò la moderna favola brutta, più sgraziata e orrenda della dieta preferita dalla famelica nonnastra. Il titolo della fiaba è: “La mela stregata di Violetta e i sette ignavi”.

C’era una volta nel nostro reame il vero angoscioso problema della donna, altro che parità, femminismo, guerra al pater familias – figura notata solo per l'ingombrante assenza – schwa al posto della vocale, woke continuo! Il vero misterioso grattacapoccia di Violetta era racchiuso non in cotali sinistronsate, ma nel dilemma porcello: Gliela dò o non gliela dò all’islamico? Ardua scelta da riservare alle sentenze dei posteri, perché in questa temperie come si opta, si sbaglia, per la serie: Povera Violetta, insultata o violentata, ovvero come ti maometti, ti maometti male.

Se gliela dava, allora si beccava occhiatacce e insulti dei Giorgio Germont: “di facili costumi”, “labbra tumide al peccato”, “lussuriosa ac-cogliona”, “cor-rotta”, “libidinosa serva”, “dissoluta amante di lucratori umanitari”, “depravata strega socia di scafisti”, “zozzona gorgheggiante sui barconi”. “Sempre libera degg’io folleggiare di gioia in gioia, vo’ che scorra il viver mio pei sentieri del piacer”. Se, per nulla bottana, anzi, casta e pudica, si nega, allora ecco spuntar fuori il bruto marocchino, che la tampina, l’aggredisce e la sfregia. Codesto marocchino, sincero, pur essendo arabo, rivela a Violetta la vera motivazione delle gote rasoiate: Le deturpo spesso e volentieri, perché odio le frigide italiane troppo restie a soddisfare i miei picchi di testosterone, ergo, se mi rifiuti ti rigo la faccia.

Un turista, non proveniente da vigna degli ac-coglioni, correndo in aiuto non solo di Violetta, ma delle italiane tutte, proferisce: peccato che da voi non ci sia la pena di morte, tuttavia basterebbe evirare il porco – i testicoli di maiale, infarinati e fritti, sono una leccornia – in nome degli “Evirati Arabi Uniti”; oppure, carcere a vita, meglio se in Marocco, comunque spedirlo fuori dai confini e magari farlo accogliere dalla famiglia Soros, dove, forse, qualche navigata Traviata libertina, prima di subito, gliela darà. Parole magiche che dovrebbero far risvegliare financo la bella addormentata. Tuttavia, donna Italia resta appisolata con Pisolo.

Per evitare altre figuracce con lo straniero, io che narro per allietare il Natale in famiglia, opto per il politicamente corretto. Perciò, ometto che l’ingrifato maiale di Marocco (beniamino coccolato e compatito – “poverino! è solo malato di mente!” – dai tribunali fino alla Cassazione, saltando a pie’ pari la Corte dei bitonti, pardon, dei conti) alla decima donna sfregiata è stato fermato ed ammanettato dalla poliziaIpso facto, la giustizia di vigna, mentalmente sub-umanitaria, non lo sbatte in galera, né lo remigra a calci in culo a Rabat, preferendo il ricovero in clinica, a spese ac-coglionazze del Servizio sanitario nazionale, pagato dagli ac-coglioni nativi.

Per i tre giorni della degenza, un brano di favola bella: i visi delle italiane brillarono di luce propria, vellutati e rosati. Violetta si rallegra di molto, sperando di non dover più interrogarsi sul darsi o no. Solo 72 ore di sicurezza, però, perché nessuno impedisce che il vendicatore islamico torni libero di sfregiare le renitenti al coito coatto maomettano. Violetta versa calde lacrime nell’apprendere i corollari dell’impreveduta, oceanica, istituzionale marocchinofilia. Nel reame degli allocchi, sette ignavi di Procura, per compiacere l’egotica Grimilde, la perfida belle-mère di Cenerentola, Crudelia De Mon e i Quaranta ladroni di Alì Babà, indagano gli inospitali poliziotti che osarono fermare il libero rasoiatore. In galera finiscono, dunque, i buoni, gli onesti lavoratori di polizia, eredi morali di Giuseppe, figlio di Giacobbe, imprigionato in base alle false accuse di Potifar, nonché dell’apostolo Pietro ingiustamente carcerato da Erode.

Violetta piange e per consolarsi, diversamente dalla piccola fiammiferaia, si accende una sigaretta. La favola, quindi, finisce in fumo e non presenta il lieto fine, in attesa che arrivino finalmente i nostri, insieme a Tex Willer, il figlio Kit, Kit Carson e il navajo Tiger Jack a rimettere il racconto con i piedi per terra e i cattivi sottoterra. Gli stessi quattro soccorritori, però, sospettati di ammucchiate omosessuali, ascrivibili piuttosto ad Lgbtqia+ che ad un lieto fine al femminile, non restituiranno a Violetta la libertà di uscire di casa e passeggiare, senza finire stuprata o sfregiata. Per affondare l’inquietante vascello fantasma del mostro rasoiatore Violetta, appena nominata segretaria di “Noi violentate”,  riceve il mandato per un’alleanza con Pollicino, leader di tutti gli ottimisti iscritti a “Favole belle”. Solo quell’omino aguzzo di cervello, potrà ingannare e maomettare il bruto di Prato, portargli via le scarpe delle sette seghe, pardon, leghe e far sì che tutte le donne possano vivere libere, sicure, felici e contente.

Aggiornato il 15 dicembre 2025 alle ore 10:43