Debbo ammettere, quando in tivù si discute sul caso di Garlasco, che laddove intervenga Massimo Lugli sono fortemente tentato di cambiare canale. Un personaggio che in passato ha sempre sostenuto la colpevolezza di Alberto Stasi, ma che ora quasi ob torto collo, si è riposizionato su una linea più dubbiosa circa la condanna di un ragazzo che, occorre sempre ricordare, era stato assolto per due volte consecutive e il procuratore generale della Cassazione, ovvero colui che sostiene l’accusa, ne aveva chiesto l’assoluzione. Tuttavia, e in questo il citato cronista della cronaca nera sembra meritare ampiamente il titolo onorifico di “signor no” del caso di Garlasco, egli continua rumorosamente a dichiarare in ogni occasione che la nuova indagine portata avanti dagli uomini di Fabio Napoleone sia basata sul nulla.
Su questo piano il nostro eroe si è duramente confrontato, nel corso dell’ultima punta di Quarta Repubblica, con l’ottima Rita Cavallaro, che sta seguendo il caso in tutti i suoi controversi aspetti, la quale gli ha voluto sottolineare che, data l’estrema riservatezza che sta caratterizzando tale indagine, nessuno è in grado di azzardare simili giudizi tagliati con l’accetta. Nel merito della questione, rispetto ai labilissimi indizi che hanno portato alla condanna del “biondino dagli occhi di ghiaccio”, le cose che sono comunque emerse in questi ultimi mesi ai danni di Andrea Sempio, che resta innocente fino a eventuale sentenza passata in giudicato, appiano ben più gravi e incriminanti.
Troppe cose non tornano nelle ricostruzioni di chi, compreso l’avvocato e i consulenti della famiglia Poggi, appoggia per partito preso l’estraneità dell’attuale indagato. Un indagato che, secondo le dichiarazioni della stessa famiglia rilasciate in passato, frequentava pochissimo la loro abitazione, mentre oggi avrebbe assiduamente soggiornato in tutti gli ambienti, tranne la camera da letto dei genitori della povera vittima. Poi c’è la questione del Dna rinvenuto sulle unghie di Chiara Poggi, che oggi il perito del Tribunale, che per definizione è terzo come il giudice, attribuisce alla linea paterna dello stesso indagato. Ma per Lugli e per gli innocentisti a prescindere l’elemento non è rilevante. Così come non lo sono le misteriose telefonate fatte da Sempio a casa Poggi pochi giorni prima del delitto e lo strano alibi dello scontrino del parcheggio di Vigevano che viene conservato per oltre un anno e che, da indiscrezioni, forse apparterrebbe ad un altro soggetto. Per non parlare della questione legata alla presunta corruzione in atti giudiziari, di cui si sta occupando la Procura di Brescia, che vede indagato il padre di Sempio.
Ora, vorrei ricordare che Lugli è ancora fermamente e graniticamente convinto della colpevolezza di Olindo Romano e Rosa Bazzi, una condanna sulla cui fondatezza a cui in Italia sono rimasti ben pochi a credere, e quindi si ha l’impressione che, al pari di tanti, il suo utilizzo del ragionevole dubbio funzioni in modo decisamente selettivo. Quello che mi sento di consigliare all’ottimo giornalista e scrittore, in merito alla complessa inchiesta di Pavia, che potrebbe portare in luce aspetti finora rimasti nell’ombra, è di seguire in parte il consiglio che veniva dato ai tempi ben poco gloriosi del Covid-19: Tachipirina e vigile attesa. In questo caso senza la Tachipirina, ma nella vigile attesa delle prossime mosse degli investigatori senz’altro.
Aggiornato il 11 dicembre 2025 alle ore 10:00
