Le tasse sui super ricchi fanno male a tutti: una lezione dalla Svizzera

Quando si tassano gli altri, dovremmo ricordare che, prima o poi, gli altri siamo noi

Poche parole d’ordine ricorrono con tanta insistenza nel dibattito pubblico come: aumentare le tasse ai ricchi. In un referendum, la Svizzera ha bocciato, a larga maggioranza, la proposta di un’imposta sulle successioni e le donazioni superiori ai 50 milioni di franchi. Domenica, il 79 per cento dei votanti (pari a poco meno della metà degli aventi diritto) ha respinto la proposta dei Giovani socialisti. Le condizioni sembravano, al contrario, favorevoli: la tassa avrebbe colpito un numero ridottissimo di individui: appena 2.500 persone, pari allo 0,03 per cento della popolazione. Il gettito sarebbe stato impiegato nel contrasto al cambio climatico. Insomma, un sacrifico per una piccola minoranza di super ricchi per salvare il mondo. In apparenza, il 99,97 per cento dei cittadini non aveva nulla da perdere. Fortunatamente, gli elettori svizzeri hanno dimostrato di saper guardare oltre gli slogan. Essi hanno compreso che in ballo c’era qualcosa di più e di diverso rispetto al futuro dell’ambiente.

L’oggetto reale della consultazione era il rispetto della proprietà privata e, in un senso profondo, l’identità stessa del Paese. Non a caso, la maggior parte dei commenti sull’esito dell’iniziativa referendaria ha enfatizzato la stabilità normativa elvetica, uno dei fattori chiave della sua attrattività nei confronti di soggetti con alti redditi o patrimoni. Il tema della tassazione dei grandi patrimoni è diventato uno dei principali fronti dello scontro politico: in Francia, per esempio, il Parlamento ha respinto la tassa proposta dall’economista Gabriel Zucman, sia nella versione di un’imposta del 2 per cento sui patrimoni superiori ai 100 milioni, sia in quella del 3 per cento al di sopra dei 10 milioni. E anche in Italia si è spesso discusso di imposta patrimoniale, da ultimo su impulso del leader della Cgil, Maurizio Landini. Si tratta di tasse molto diverse tra di loro – patrimoniali ordinarie o straordinarie, imposte su successioni e donazioni e così via – ma tutte hanno in comune due aspetti cruciali: in primo luogo colpiscono il risparmio, in secondo luogo sono comunicate in modo tale da dare la sensazione che riguardino “i ricchi”, che sono sempre altri da noi.

Quindi, perché mai dovremmo essere contrari a prendere dalle tasche di chi ha per dare a chi non ha (o ha meno)? Sono due le ragioni, che probabilmente hanno indotto gli elettori svizzeri a essere così netti. In primo luogo, il risparmio deriva da redditi che sono già stati tassati in precedenza. L’imposizione sul reddito è progressiva praticamente ovunque nel mondo, sia per effetto della struttura delle aliquote, sia in conseguenza di deduzioni e detrazioni: quindi chi ha già oggi paga di più. Le imposte patrimoniali non rispondono a esigenze di giustizia sociale, ma hanno l’unico risultato di scoraggiare il risparmio, incentivando il consumo (oppure l’elusione). Ma la crescita di lungo termine non può esserci se non c’è risparmio. Quindi i ricchi che accumulano e magari trasmettono i loro beni agli eredi svolgono un ruolo cruciale a favore di tutta la società. In secondo luogo, tutte le volte che si parla di tasse sui super ricchi, finisce poi che l’asticella si abbassa rapidamente fino a colpire una fetta della popolazione molto più ampia. Così, le tasse per pochi diventano rapidamente tasse per molti o addirittura per tutti: e a dispetto delle frequenti promesse di utilizzarne il gettito per sgravare i ceti medi, inevitabilmente il gettito va ad alimentare la spesa pubblica. Quando ci chiedono di appoggiare una riforma che serve a tassare gli altri, dovremmo ricordare che, prima o poi, gli altri siamo noi.

Aggiornato il 02 dicembre 2025 alle ore 10:45