Ok! Il passaggio elettorale di ieri l’altro negli States per la destra repubblicana e trumpiana è stato un disastro. È andata malissimo, non solo perché la sconfitta nella corsa a sindaco di New York è stata cocente, ma soprattutto perché sono state perse le sfide per la carica di governatore negli Stati del New Jersey e della Virginia. E ciò per stare alla punta dell’iceberg. Se poi si scava in profondità nell’andamento complessivo del voto a un anno dall’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti si scopre che i Democratici hanno vinto tutte e tre le elezioni statali della Virginia e hanno conquistato 13 seggi nella Camera dei Delegati dello Stato. Nel New Jersey la democratica Mikie Sherrill, ex pilota di elicotteri della Marina, già deputata per quattro mandati e figura di spicco dell’ala moderata del Partito Democratico, ha sconfitto il repubblicano Jack Ciattarelli con ampio margine e i democratici hanno conquistato diverse contee vinte da Trump nel 2024; tre giudici democratici della Corte Suprema hanno mantenuto i loro seggi nell’Alta Corte della Pennsylvania; gli elettori della California hanno approvato, mediante referendum popolare, la Proposta 50, che ridisegnerà la mappa del Congresso dello Stato a favore dei democratici.
È però di tutta evidenza che la notizia forte sia la vittoria a New York dell’outsider Zohran Mamdani. Per molte ragioni. Con Mamdani sindaco la Grande Mela conosce una serie di prime volte. La prima volta di un millennial alla guida della città (è nato nel 1991). La prima volta di un musulmano a sindaco di New York che, con il macigno dell’11 settembre a gravare sulla memoria degli americani, suona come un ossimoro. La prima volta di un figlio di immigrati – padre ugandese ma di origini indiane del Gujarat e madre indiana del Punjab – che ha ottenuto la cittadinanza Usa in età avanzata. La prima volta di un socialista con orientamenti “comunisti”; Mamdami ha iniziato la carriera politica come supporter di Bernie Sanders alle primarie democratiche per le presidenziali del 2016, successivamente ha aderito alla Democratic Socialists of America (Dsa), organizzazione politica socialista democratica statunitense, fondata da Michael Harrington nel 1982.
La prima volta di un candidato sindaco con un programma dichiaratamente populista: Mamdani ha focalizzato la sua promessa elettorale sull’accessibilità economica, con l’impegno di congelamento degli affitti, di trasporti pubblici gratuiti e di asili nido universali, il tutto finanziato caricando significativamente la tassazione sui ricchi. La prima volta di un rapper in cima alla Grande Mela. Non ancora in politica Mamdani si è concesso una lunga esperienza nel mondo dell’hip hop con il nome d’arte Mr. Cardamom. Un modo originale per raccontarsi e raccontare le proprie radici identitarie e religiose. La prima volta di un pro-Pal che non fa mistero di disprezzare la politica di Israele nell’area mediorientale, salvo a recitare la formuletta di rito “non sono antisemita” per salvare la faccia e qualcos’altro dall’ira della comunità ebraica newyorkese che in città conta. E molto. Può darsi che sia vero ciò che dice, che non è antisemita ma fanatico del wokismo e della cancel culture lo è senz’altro, fino al midollo.
Ora, se si guarda con attenzione il voto salta all’occhio che Mamdani non ha nulla a che spartire con le gentildonne democratiche che hanno vinto la corsa ai governatorati nel New Jersey e nella Virginia. Il populismo sfacciato e arrogante del primo fa a cazzotti con il compassato moderatismo delle seconde. Ragione per la quale, non essendo classificabile il voto per i democratici di ieri l’altro come omogeneo, la domanda che la sinistra statunitense deve porsi in vista della costruzione di un’alternativa a Trump e al trumpismo verte su quale Partito Democratico immaginare per il futuro. Quello progressista e liberal dell’America colta e snob dell’upper class o il partito-punta di lancia di una costituency elettorale populista, squattrinata e cafona, odiatrice dei ricchi e della ricchezza e che strappa consensi e simpatie al popolo Maga? A New York si è registrata un’affluenza record di votanti per la scelta del sindaco, segno che la gente comune, mossa da un disagio concreto, chieda un cambiamento reale nella conduzione delle politiche sociali. La pesante bocciatura del candidato indipendente, ex democratico ed ex governatore, Andrew Cuomo, certifica che l’uomo della strada non ci sta più a delegare il proprio destino alle famiglie dinastiche dei soliti noti, amici e sodali dei paperoni ultramilionari.
Spetta dunque al neo-eletto Mamdani provare a passare dalla propaganda ai fatti, dimostrando di non essere un politicante da strapazzo, colpevole di aver carpito la buona fede dell’opinione pubblica e il suo bisogno inascoltato di giustizia sociale. Si potrebbe asserire che tocchi oggi al Partito Democratico di affrontare quella palingenesi che il Gop, il partito repubblicano, ha vissuto con l’ascesa al vertice dell’eterodosso Trump e con lo smantellamento del vecchio apparato conservatore del partito. Ma il parallelo non sarebbe corretto perché Trump, di là dalla propaganda, non ha mai rinnegato le radici identitarie dell’ideologia repubblicana. Con Mamdani, invece, il Partito Democratico non verrebbe rimodellato ma completamente snaturato dall’adesione a una filosofia populista ed egualitaria che non è mai appartenuta al suo tradizionale establishment.
Qui in Italia, i democratici di casa nostra si diano una calmata nello spacciare la vittoria di Mamdani come fosse la propria vittoria. Loro, in quel che è accaduto Oltreoceano, non hanno avuto alcun ruolo. Semmai, se un clone di Zohran comparisse dalle nostre parti per lanciare la sfida a Giorgia Meloni proverebbe grande imbarazzo nel ritrovarsi accanto gli attuali leader del “campo largo”. Li giudicherebbe insostenibili perché corresponsabili del meccanismo corruttivo azionato ai danni delle classi lavoratrici e povere del Paese da una borghesia fintamente progressista ma ostinatamente corporativa. Un Mamdani nostrano romperebbe con Elly Schlein e con i suoi amici radical-chic e notificherebbe una diffida a tendersi a debita distanza a politicanti ipocriti quali un Giuseppe Conte o i soci della premiata ditta Fratoianni & Bonelli.
Piuttosto, guarderebbe con interesse al modello di sinistra radicale venuto fuori alle regionali in Toscana. Di certo un Mamdani si troverebbe a proprio agio a dialogare con Antonella Bundu, 55 anni, fiorentina, che, da candidata di Toscana rossa, ha raggiunto un sorprendente 5,18 per cento (72.321 voti). È lei la più genuina espressione di un popolo di sinistra che non si riconosce nei tatticismi dei protagonisti del “campo largo”; che è orfano di una visione socialista da trasfondere in un progetto organico per il futuro dell’Italia; che rimprovera ai leader progressisti di non aver saputo costruire un’alternativa ideologicamente credibile alla destra dal tempo della caduta del Muro di Berlino e dalla fine del comunismo reale. Tornando alla novità newyorkese, facciamo fatica a pensare che Mamdani vinca la sfida programmatica realizzando le promesse che ha offerto agli elettori in cambio del voto. Ma se dovesse accadere, se Zohran dovesse spuntarla, allora sì l’onda lunga newyorkese arriverebbe a superare l’Atlantico per abbattersi sulle nostre coste. Non per riportare alla luce l’immaginaria Eldorado progressista ma per creare qualcosa di nuovo e di estraneo alle caduche impalcature della stantia politica del centrosinistra.
Aggiornato il 06 novembre 2025 alle ore 09:20
