Emanuele Fiano echeggia Giorgio Bocca

Sassolini di Lehner

Emanuele Fiano, presidente di “Sinistra per Israele”, con aggravante Partito democratico, è la prova incarnata che non basta demonizzare il legittimo governo di Benjamin Netanyahu per evitare la caccia all’ebreo. Non avendo potuto tenere la conferenza su “due popoli, due Stati” nell’Università Cà Foscari, violentemente azzittito dall’orda rossa pro-Pal, se n’è uscito con la solita corbelleria evocante il fascismo, addebitandolo agli aggressori del Fronte della gioventù comunista. Gli ebrei di sinistra, insomma, pur di farsi accettare financo dai flottiglianti, dagli Enzo Iacchetti e dalle Francesca Albanese, ripetono le stesse boiate del già fascista e antisemita Giorgio Bocca, che cercò di farci credere che le Brigate rosse non scaturissero dall’album di famiglia del Pci. Macché rosse, piuttosto nere, massondeviateamerikane.

Ebbi già modo, quand’eravamo entrambi parlamentari, di esortarti, buon Emanuele, giustamente attento ai rigurgiti antisemiti, visto anche il prezzo pagato dai tuoi familiari, a ripassare la storia e capire che nazifascismo e comunismo sono stati, sia pure con lessico diverso, gemelli in tutto, anche rispetto all’odio verso gli ebrei. Il vocabolario comunista evitò soltanto di chiamarli “ebrei”, perseguendoli  in quanto “sionisti”. Rudolf Slánský docet. Riguardo ai giovani comunisti con presunta mentalità fascista, mi garba aiutare Emanuele nel ripasso delle gesta di Giorgio Bocca, il mix perfetto tra ballismo nero e rosso. Intanto, il futuro alfiere dell’antifascismo e della sinistrocrazia, proviene dal passato, sempre presente in lui, di fascista intransigente.

Recensendo entusiasticamente il falso libello sui Protocolli dei Savi di Sion, conclude: “A quale ariano, fascista o non fascista, può sorridere l’idea di dovere, in un tempo non lontano, essere schiavo degli ebrei? Sarà chiara a tutti, anche se ormai i non convinti sono pochi, la necessità ineluttabile di questa guerra, intesa come una ribellione dellEuropa ariana al tentativo ebraico di porla in stato di schiavitù”. Bocca, ancora nel 1943, si distingue come duro squadrista, nonché integerrimo segretario del Guf. Avendo orecchiato dall’industriale Paolo Berardi parole di verità, tipo che la guerra era ormai perduta, prima picchia il “disfattista”, quindi lo consegna alle manette della polizia. Dopo l’8 settembre, il sincronico Giorgio getta via l’orbace e si riveste da partigiano di Giustizia e Libertà, rimanendo sempre puro, duro, integerrimo, superato soltanto da un altro eroe della Resistenza, il feroce comunista Rocca – chissà come lo commemora l’Anpi? – che assassinava i prigionieri, squartandoli a colpi di vanga. Dopo aver accettato e sottoscritto acriticamente il manifesto della razza, la sua firma, decenni dopo, riappare pure sul criminogeno – Bocca fu uno del 757 mandanti morali dell’assassinio del commissario – manifesto del 1972 contro Luigi Calabresi, aggiungendo la seguente porcheria: “Il processo che doveva far luce sulla morte di Giuseppe Pinelli si è arrestato davanti alla bara del ferroviere ucciso senza colpa. Chi porta la responsabilità della sua fine, Luigi Calabresi, ha trovato nella legge la possibilità di ricusare il suo giudice”. Emanuele, ti voglio bene, per questo ti raccomando di non ripetere mai più le faziose menzogne di Bocca.

Nel 1975, volutamente cieco davanti all’evidenza, infatti, Giorgio sbianchetta il rosso alle bierre: “L’eterna favola delle Brigate rosse. A me queste Brigate rosse fanno un curioso effetto, di favola per bambini scemi o insonnoliti; e quando i magistrati e gli ufficiali dei carabinieri e i prefetti cominciano a narrarla, mi viene come un’ondata di tenerezza, perché la favola è vecchia, sgangherata, puerile, ma viene raccontata con tanta buona volontà che proprio non si sa come contraddirla. Questa storia è penosa al punto da dimostrare il falso, il marcio che ci sta dietro: perché nessun militante di sinistra si comporterebbe, per libera scelta, in modo da rovesciare tanto ridicolo sulla sinistra”. Insomma, gli assassini delle bierre dovevano essere fascisti, oppure oscuri eversori coperti dalle istituzioni deviate o direttamente dalla Cia, di tutto e di più, ma giammai comunisti. Bocca si ripresenta in forma apparentemente onesta tra il 1983 e il 1985, disvelando le omissioni e la bolsa retorica della storiografia antifascista, critiche tali da spingere all’insano gesto Antonio Scurati e Aldo Cazzullo, improvvisatisi recentemente esperti di storiograffia o, peggio, di storiellografia.

Tuttavia, resta il sospetto di un revisionismo scattato per giustificare soprattutto la pregressa camicia nera: “La cultura italiana si è resa conto che la storia del fascismo, così come è stata scritta dagli antifascisti in questi anni, è storia da rivedere. Il fascismo è un movimento violento e autoritario che reagisce a un’altra minoranza, altrettanto violenta e autoritaria, come quella socialcomunista. Tra socialismo e fascismo c’è una matrice culturale comune, ci sono delle illusioni comuni. Nel 1936, all’epoca dell’impero credo che il 90 per cento degli italiani approvasse, rispetto agli altri dittatori totalitari, Benito Mussolini. Aveva letto i libri giusti, aveva dei rapporti corretti con la cultura, mentre Adolf Hitler e Iosif Stalin non li avevano. Al di fuori del giornalismo non ha mai preso un soldo dallo Stato. fra fascismo e nazismo non c’è alcuna parentela”. Caro Emanuele Fiano, spero che, dopo esserti informato meglio, capirai che, oggi, le leggi razziali sono emanate e praticate dai sedicenti antifascisti, che non hanno la forma mentis del 1938, bensì dell’attuale sfascismo anarcoide e socialcomunista.

Tra l’altro, scoprirai che la sicurezza e la sopravvivenza di Israele non è garantita dalla sinistra, bensì dal centro e dalla destra. Migliora e amplia le tue conoscenze, egregio, così eviterai di reiterare le balle di Giorgio Bocca.

Aggiornato il 29 ottobre 2025 alle ore 09:59