Occidente, il luogo in cui dimora il fantasma della libertà

Proviamo, una volta nella vita, a volerci bene. Come? Decidendo di non prendere per oro colato tutto ciò che l’informazione condizionata dal politicamente corretto ci impone. Viviamo nella continua narrazione di una realtà adulterata, che non esiste, che non corrisponde a verità ma che, purtuttavia, è accettata assiomaticamente perché proveniente dall’unica fonte legittimata a dispensarla – quella del pensiero unico progressista – e perciò vera in sé. Adeguarvisi è un imperativo etico; discostarsene o, peggio, contraddirla, è blasfemia; è errare nel senso che Sant’Agostino dà alla categoria morale dell’errore quale diretta espressione del peccato. E il pensiero critico? Una scomoda, fastidiosa, distorsione nell’abuso del concetto di libertà. Ecco a cosa siamo ridotti in Occidente: a fingere di essere liberi praticando le libertà nelle modiche dosi consentite dal pensiero unico.

Se la storia dell’umanità è scandita dall’eterno ritorno dell’uguale, tocca fare i conti con la “bruniana” bestia trionfante che si riprende lo scettro del comando dopo il suo temporaneo – e illusorio – spaccio. I fatti, per intenderci. Se diciamo che Israele ha avuto ragione nel fare a Gaza ciò che Hamas l’ha costretta a fare, per il pensiero unico siamo degli assassini criminali, complici in un genocidio. Se mettiamo in dubbio l’operato dell’Occidente nella questione russo-ucraina, siamo dei maledetti figli di puttana putiniani. Se sosteniamo le buone ragioni di Donald Trump nell’approccio alle relazioni con gli Stati esteri, siamo dei traditori della comune patria europea; se aggiungiamo che gli attuali leader continentali siano dei nani, incapaci di essere all’altezza del tempo storico che li vede immeritatamente protagonisti, siamo degli odiosi disfattisti. Se manifestiamo per le nostre idee, siamo degli odiatori; se esprimiamo solidarietà a un giornalista della Rai per un grave attentato subito, siamo degli odiatori camuffati; se diciamo chiaro a quello stesso giornalista a cui abbiamo dato solidarietà che il suo modo di fare giornalismo non ci piace, anzi ci disgusta, siamo degli odiatori ugualmente, ma con una differenza: abbiamo gettato la maschera.

Se siamo per prendere in considerazione le critiche che Viktor Orbán rivolge all’Unione europea, siamo imbarazzanti e dovremmo tacere, così come non si dovrebbe consentire a un “fascistaungherese di venire a casa nostra a esporre le sue critiche mefitiche alla santa casa comune che sta a Bruxelles. Che truffa questa democrazia liberal! Che nausea, ascoltare i sacerdoti e le vestali del politicamente corretto i quali a ciclo continuo ci catechizzano sul fatto che sia bellissimo godere della libertà vigilata dai giusti, che sanno cosa sia meglio per noi. Invece, noi siamo degli ingrati perché pensiamo che questa non sia libertà, ma il suo fantasma che ci perseguita. Che sia tirannide della specie peggiore, tossica perché avvelena le menti e impone le catene al pensiero critico.

Provate a controbattere a uno degli aguzzini in forza alla polizia morale del politicamente corretto, vi ritroverete immortalati a testa in giù sui cartelloni propagandistici delle loro truppe cammellate che bivaccano nelle piazze, pronte a fare casino al segno convenuto, impartito dai loro caporioni. Vi sarà inibito l’accesso ai luoghi pubblici destinati alla cultura e all’istruzione; sarete additati al pubblico ludibrio; vi sentirete dare degli impresentabili; la vostra sola presenza in certi ambienti sarà fonte d’imbarazzo. Perché, farsela con chi si è collocato sul versante sbagliato della storia nella rappresentazione che del fiume del tempo danno i possessori della verità unica, è in sé indice di errore ontologico, cioè del male secondo lo spirito e la lettera agostiniana. Tuttavia, per quanto reietti, reprobi agli occhi del politicamente corretto, da eretici già destinati alle fiamme della dannazione eterna, “fottuti per fottuti”, le domande le facciamo ugualmente. Non che ci si illuda di ricevere risposta, semplicemente per lasciare agli atti della storia che qualcuno il cervello non l’aveva mandato all’ammasso; che qualcuno non aveva ceduto alla tentazione di mettersi in scia al pensiero unico per salvarsi la cadrega e guadagnarsi uno strapuntino al sole del potere.

Parliamo di Ucraina. Ogni giorno è un profluvio di notizie trionfalistiche: Vladimir Putin è cotto, la Russia sta per cedere, non manca molto perché l’economia russa collassi; Kiev è sul punto di riprendersi una rivincita travolgente sull’aggressore. L’Europa è l’artefice del successo ucraino, la sua forza nel sostenere con risorse illimitate l’Ucraina sta fiaccando il morale degli inquilini del Cremlino. Il 19° pacchetto di sanzioni? La mazzata finale che annichilirà la resistenza residua di Putin. D’accordo, tutto bellissimo, meraviglioso, ma se è tutto così perfetto com’è che i russi continuano ad avanzare in Ucraina, conquistando giorno dopo giorno pezzi di territorio? Com’è che gli ucraini vincono nelle narrazioni propinate agli occidentali, mentre nella realtà sul campo di battaglia i russi li circondano e li assediano a ridosso dei principali nodi strategici del Sud del Paese? Perché nessuno ha risposto all’obiezione logica sollevata dall’economista Paul Craig Roberts, già sottosegretario al Tesoro per la politica economica nell’amministrazione Reagan, il quale, calcolatrice alla mano, domanda: se il segretario generale della Nato, Mark Rutte, dichiara che i russi hanno subito 1,5 milioni di perdite sul fronte ucraino, essendo l’esercito russo composto di circa un milione e mezzo di effettivi, com’è che le truppe di Kiev non sono a Mosca?

E ancora, sempre Rutte ha dichiarato che “le nostre forze armate (dei Paesi Nato, ndr.) sono infinitamente superiori a quelle russe”, se è così come si spiega che Il ministro degli Interni britannico affermi che la Gran Bretagna non può nemmeno difendere i propri confini, e nemmeno Francia, Germania, Paesi Bassi, Italia e Spagna possono farlo, ma possono difendere i confini dell’Ucraina e dell’Europa dalla Russia? Chi sta giocando sulla nostra pelle a sovrapporre la narrazione del verosimile alla verità? E sui morti, chi mente? In una situazione di guerra la contabilità dei caduti, ancorché macabra, ha una grande valenza ai fini della previsione sugli esiti finali del confronto bellico. Ora, ci raccontano che la Russia stia subendo perdite enormi ma che le tenga nascoste alla propria opinione pubblica per impedire lo scatenarsi della rivolta contro il leader supremo della nazione. Le fonti ucraine parlano di oltre 1,1 milione di soldati russi uccisi. Gli occidentali se la bevono. Anche Donald Trump prende i numeri dei caduti russi molto sul serio.

Poi, però, appare un’intervista rilasciata a Sky News Australia da James Carden, ex consigliere del Dipartimento di Stato statunitense, nella quale il diplomatico ribalta totalmente i dati in circolazione sull’effettivo numero dei caduti, da una parte e dall’altra. Carden dichiara: “Dalle mie fonti risulta che il rapporto di perdite tra ucraini e russi è di 36 a 1. Sono le perdite ucraine ad essere vicine a un milione. La guerra d’attrito attuata fin dall’inizio dai russi è stata un successo, sono gli ucraini ad essere sull’orlo del disastro”. Una dichiarazione forte, che avrebbe dovuto scatenare un dibattito serio e informato a casa nostra. Invece, nessuno se l’è filata, ad eccezione della meritevole opera che svolge Gianandrea Gaiani con il suo Analisi Difesa on-line. È stato lui a rendere nota l’intervista di Carden. Ma anche Gaiani, macchiatosi del peccato di esprimere critiche sull’andamento del conflitto russo-ucraino, è stato bollato da quelli del pensiero unico, politicamente corretto, alla stregua di un collaborazionista putiniano.

Evidentemente, se Putin è Adolf Hitler redivivo, c’è in giro per l’Europa una vasta area, che si allarga ogni giorno di più, che è come una Francia di Vichy presso la quale continuano a fare scuola gli insegnamenti del maresciallo Philippe Pétain. Fortuna che c’è l’altra Europa – quella dei buoni – di cui essere felici e soddisfatti. Eppure, qualcosa ci dice che a furia di nutrirci della informazione drogata del mainstream, ci sveglieremo un giorno con i russi a Kiev e a Odessa, con Volodymyr Zelensky al riparo a Roma o a Parigi e con i bilanci degli Stati europei in briciole per i troppi quattrini gettati al vento nel sostenere una guerra che mai avrebbe potuto essere vinta. A pensarla in questo modo si rimedia il marchio d’infamia dei bestemmiatori, disfattisti, nemici della patria e della santa causa? Sapete che c’è, andate a ramengo! I conti li si farà alla fine e si vedrà chi sarà stato a prendere per i fondelli gli europei. E, riguardo allo stare dal lato giusto della storia, ci si accorgerà tardi di aver letto la mappa stradale dal verso sbagliato.

Aggiornato il 29 ottobre 2025 alle ore 09:55