Calabrisella nostra

Come direbbe Elly Schlein a proposito della gioiosa macchina da guerra progressista: non ci hanno visto arrivare. Effettivamente, non li abbiamo visti arrivare per la semplice ragione che non sono arrivati: sono rimasti inchiodati al blocco di partenza. Anche questa seconda tappa del tour delle Regionali 2025 (la Valle d’Aosta non è della partita perché fa corsa a sé) se l’è aggiudicata il centrodestra. In Calabria vince Roberto Occhiuto, governatore uscente e uomo forte del nuovo corso forzista post-berlusconiano. Giorgia Meloni e gli alleati inanellano un altro risultato positivo nelle competizioni territoriali, che però non crea alcun automatismo riguardo al consenso nazionale al centrodestra, sebbene costituisca un prezioso indicatore del sentiment della maggioranza del Paese. All’opposto, ne esce smontata la narrazione della sinistra che fantasticava di un sicuro “cappottoelettorale a danno dell’odierna maggioranza.

La battaglia nelle sei regioni al voto d’autunno si sarebbe dovuta concludere con un secco 5-1 della sinistra sul centrodestra (il Veneto l’unica regione graziosamente assegnata ancora alla destra). Invece, siamo agli sgoccioli del primo tempo (manca il voto in Toscana del prossimo fine settimana per andare al momentaneo riposo in vista del secondo tempo da disputare in Veneto, Campania e Puglia) e siamo sul 2-0. Ragione per la quale, comunque andrà con le prossime sfide, al momento il giudizio degli italiani chiamati al voto non è stato favorevole al “campo largo”. Non lo testimonia solo la vittoria di larga misura del candidato Roberto Occhiuto sul competitor di sinistra Pasquale Tridico ma l’andamento complessivo delle liste che hanno sostenuto il vincitore. Occhiuto ha vinto con il 57,26 per cento dei consensi (453.926 voti); Tridico si è fermato al 41,73 per cento (330.813 voti). Una forbice di 15,53 punti percentuali – pari a 123.113 voti di scarto – non è poca cosa, soprattutto se si considera il fatto che Occhiuto fosse l’uscente e, in Regione Calabria, il governatore uscente solitamente viene penalizzato dagli elettori.

Questa volta non è successo, segno che i calabresi hanno inteso confermare la fiducia a Occhiuto, mentre non si sono fidati dell’alternativa. Eppure, i media organici alla sinistra avevano battuto la grancassa sostenendo che il campione pentastellato dell’assistenzialismo avrebbe fatto breccia. Hanno dato per scontato che reddito di cittadinanza, assunzione ad libitum di forestali, esenzione dal pagamento del bollo auto, potessero essere le chiavi giuste per accedere ai cuori della gente di Calabria. Non è stato così, perché l’antica terra dei bruzi non corrisponde alla oleografia che ne fa l’intellighenzia radical-chic dai propri salotti.

La Calabria non è la terra di morti di fame e di disperati in cerca dell’elemosina di Stato, che emerge dal ritratto di maniera dipinto dalla sinistra. La regione dell’estremo sud peninsulare necessita di un rapido sviluppo infrastrutturale per sostenere le opportunità produttive che ci sono e che spaziano in tutti e tre i settori economici: dall’agricoltura, all’industria, al terziario. La Calabria ha certamente un problema di spopolamento che, tuttavia, non si risolve promettendo mance ai giovani perché restino nella loro terra d’origine. Ha anche un problema sanitario legato al flusso di propri cittadini che scelgono altre regioni dove farsi curare. Ma questo gap, più che alla mancanza di strutture, attiene alla qualità dei profili professionali ingaggiati per la gestione in loco della sanità. Che è un problema serio al quale il governatore rieletto dovrà mettere mano con determinazione e saggezza.

Ciononostante, tali valutazioni attengono a un work in progress le cui linee generali sono state ampiamente condivise con i cittadini. Nulla a che vedere con le proposte fuori calibro offerte dallo sfidante e, soprattutto, nulla a che spartire con la retorica propagandistica dell’onda lunga della piazza che, nelle intenzioni dei suoi fautori, avrebbe dovuto giungere a Gaza partendo dall’Italia, non prima di aver attraversato le Marche e la Calabria. Alla stregua dei marchigiani, anche i calabresi hanno ritenuto che, per guarire dai propri mali, avvolgersi nella bandiera della Palestina non sarebbe stato come immergersi nell’acqua miracolosa di Lourdes. A quella roba lì, la gente normale non crede affatto. Ricordate il can-can allestito su Riace, la patria arcobaleno di Mimmo Lucano, l’osannato sindaco del piccolo centro del reggino, il campione “dell’immigrazionismo”, che nel 2016 la rivista Fortune incluse nell’elenco dei 50 personaggi più influenti al mondo, oggi europarlamentare in quota alla premiata dittaFratoianni & Bonelli” di Alleanza verdi e sinistra? Ebbene, nella sua Riace il “nemico” Occhiuto ha raccolto il 70,07 per cento dei voti contro il 29,65 dato a Tridico. Ma Riace non era il paradiso dell’integrazione, della multiculturalità, dell’accoglienza illimitata, delle bandiere della pace a ogni angolo di strada, dell’umanità migliore dei progressisti?

Il nostro tempo vive uno scollamento tra il reale e il racconto, eppure nelle urne ci finisce la realtà. Occhiuto vince, ma è l’intera coalizione che avanza. Forza Italia ottiene il risultato migliore: il 17,98 per cento. Anche la lista del candidato presidente, con il 12,39 per cento, consolida il risultato della componente moderata del centrodestra. Ciò non deve stupire, due fattori concorrono a spiegarne il successo. In primo luogo, nelle regioni del Sud la personalizzazione della campagna elettorale ha un maggiore impatto rispetto ad altre aree del Paese. Vale a destra come a sinistra: il “chi” più del “cosa fare” fa aggio nella scelta del governatore e della coalizione da votare. Basti guardare alle vicende in Campania e Puglia per farsi un’idea. La gente ha votato Vincenzo De Luca e Michele Emiliano non perché fossero del Partito democratico, piuttosto perché trasmettevano la sensazione di essere soggetti egemoni, autonomi e non condizionabili dalle dinamiche interne ai partiti di riferimento. In parole semplici: che sapessero comandare e non essere comandati da altri.

In secondo luogo, la società civile calabrese è storicamente orientata verso le aree e le famiglie politiche del moderatismo di matrice democristiana. Per un segmento di elettori Forza Italia è ciò che più si avvicina all’idea di un partito centrista. La novità è che il consenso ricevuto rimane abbastanza stabile anche in assenza della figura iconica di Silvio Berlusconi. Nel 2021, alle precedenti regionali, Forza Italia raccolse il 17,31 per cento, di poco inferiore all’odierno risultato. Fratelli d’Italia incrementa la sua percentuale sull’onda del consenso a Giorgia Meloni, raggiungendo l’11,64 per cento contro l’8,70 per cento del 2021. A smentire la narrazione che restituisce l’immagine distorta di un Matteo Salvini giunto a fine corsa e di una Lega in rotta in tutte le regioni italiane, il dato calabrese arride al Carroccio: il 9,40 per cento odierno contro l’8,33 per cento del 2021. Un punto percentuale guadagnato per l’effetto combinato della partita che Matteo Salvini sta giocando in prima persona con la questione del ponte sullo Stretto con la popolarità che la figura, ancorché controversa, del generale Roberto Vannacci registra nel bacino elettorale della destra tradizionalmente radicale la quale, in Calabria, conserva uno dei suoi storici presidi.

Sulla sinistra c’è poco da dire se non che sono caduti tutti gli alibi possibili. Pasquale Tridico è stato voluto fortemente da Giuseppe Conte. Il ragionamento è stato: quando il candidato di coalizione è uno del Movimento 5 stelle l’elettorato grillino si mobilita a differenza di ciò che accade quando il candidato è del Pd. A sostegno viene costantemente tirato in ballo il caso della Sardegna: con la pentastellata Alessandra Todde il centrosinistra ha vinto. Da ieri l’altro sappiamo che un tale pretesa assiomatica non regge il dato di realtà: la sinistra è stata pesantemente sconfitta nonostante Tridico. Il cinque stelle, di cui si attende ogni volta la mobilitazione massiccia nelle urne, ha raggranellato un miserello 6,43 per cento, perfettamente in linea con il risultato del 2021 (6,48 per cento). Un dato che, confermandosi di elezione in elezione, dà l’effettiva caratura del partito ex grillino in ambito nazionale. Non c’è un cinque stelle a due cifre a competere con il Pd per la guida del “campo largo”. C’è, invece, un partito riconfigurato sulla persona del leader, Giuseppe Conte, che galleggia al 7 per cento dei consensi.

Tuttavia, benché ridimensionato, il cinque stelle continua a beneficiare di una visibilità mediatica eccessiva rispetto al suo peso specifico nell’odierno panorama politico. Riguardo al Partito democratico, l’analisi è presto tracciata: vince laddove non mette in discussione le cordate di partito in grado di gestire il potere locale. La capacità di penetrazione nei gangli dell’amministrazione dei territori è l’unica garanzia per la perpetuazione della sua egemonia in sede locale: Il centrosinistra vincerà le prossime sfide se i candidati terranno fede all’impegno di mantenersi in scia, una volta eletti, ai loro predecessori: Eugenio Giani a sé stesso in Toscana; in Campania, Roberto Fico a Vincenzo De Luca; in Puglia, Antonio Decaro a Michele Emiliano. Se solo uno di loro – il riferimento non casuale è al pentastellato Roberto Fico – se ne discostasse o dichiarasse apertamente di voler governare in discontinuità rispetto al suo predecessore, metterebbe a rischio la vittoria. Allora partite chiuse per il centrodestra le prossime? Non necessariamente, i miracoli possono sempre accadere. E noi, siamo credenti.

Aggiornato il 08 ottobre 2025 alle ore 10:01