
Sassolini di Lehner
La mobilitazione filo-islamica e pro Hamas, non per i bimbi gazawi, ma soprattutto contro l’Esecutivo e, di fatto, contro lo Stato, le nostre Istituzioni, la Polizia, i Carabinieri, conferma che, almeno per quanto riguarda la sinistra delirante italiana, Giambattista Vico ebbe ragione: la storia tende a ripetersi. Da noi, però – Vico parlava di ciclicità con varianti – la ripetizione sembra spesso essere tale e quale. L’unica differenza è che gli odierni militanti flottiglianti si sono curati soprattutto di escludere gli omosessuali – fra l’altro, omosex davvero suicidi e sprovveduti, partecipando ad un’operazione islamista – mentre, nel 1920, il gradimento o meno di Allah non appariva nell’ordine del giorno. Per il resto, scioperomanìa di venerdì e manifestazioni, dalle Alpi a Capo Passero, riproducono la “settimana rossa” del giugno 1914, il disastroso “diciannovismo”, la velleitaria occupazione delle fabbriche del settembre 1920, l’insensato biennio rosso – la rivoluzione va fatta non parafrasata a colpi di luddismo, altrimenti è caos di impotenti – marcato da sommosse cittadine, blocchi stradali, occupazioni dei binari, vandalismi, tumulti e devastazioni nelle campagne, tutte le premesse dell’avvento del fascismo.
L’ebreo Ernesto Nathan profetizzò che “l’onda di bolscevismo” fosse destinata a svanire, ma intanto lamentò che rovesciava rovinose grandinate sulla gente: disagi, angosce, eccidi, lutti, spaventi. Il miglior sindaco di Roma di tutti i tempi definì magistralmente la patologia di quel periodo come esito “dell’insidioso contagio delle parole”, cioè della incessante e demenziale campagna propagandistica delle minoranze, che intendevano “fare come in Russia”, senza aver il coraggio di farlo. Si ripetono incredibilmente in questi giorni anche sfregio, vilipendio, assalto contro le divise. L’idiozia massimalista indusse i socialisti a insultare i reduci della grande guerra, ufficiali, sottufficiali e gli stessi fanti-contadini, i nostri bisnonni che avevano sofferto anni di trincea e dato il loro sangue per difendere la patria. Mentre i riformisti come Filippo Turati compresero che, dopo Caporetto, il Monte Grappa era la Patria, ai social estremisti parve assai rivoluzionario attaccare i reduci, sputacchiarli, insultarli, picchiarli, aggredirli, ingiurare addirittura gli invalidi ricoverati in ospedale – vedi il caso dell’eroe ferito gravemente Piero Operti (Torino, ottobre 1920), a cui, nel letto di dolore, furono strappate le medaglie, sprezzantemente calpestate in nome del sol dell’avvenire. Il reduce Ernesto Rossi, futuro fervente antifascista – suggerì a Benedetto Croce l’Antimanifesto (1° maggio 1925) in risposta a quello di Giovanni Gentile – nonché uno dei tre redattori del manifesto di Ventotene, subì gli sputi e le offese provenienti dalla “bestialità dei socialisti” (parole sue), tanto da essere tentato di unirsi a Benito Mussolini. Solo i consigli di Gaetano Salvemini evitarono che Ernesto partecipasse alla marcia su Roma.
Ebbene, oggi registriamo le medesime bestialità e la stessa violenza contro i soldati, scherniti, come a Palermo, dove clown e sedicenti artisti si sono travestiti da buffi e ridicoli militari, per deridere l’esercito italiano, secondo loro costituito da miserabili pagliacci. A Milano, Bologna, Roma ludibrio, vilipendio, sassate, calci e bastonate son piovuti sugli agenti di polizia, molti dei quali finiti sui lettini del pronto soccorso. Insomma, siamo di nuovo alla “Guardia rossa” del folle biennio novecentesco, l’organizzazione armata di tutto punto, attrezzata per lo scontro con carabinieri e soldati. Le guardie rosse, in quel di Bologna, travolte dall’odio bestiale sino alla cecità tipica degli imbranati furenti, lanciarono bombe a casaccio, che uccisero, in effetti, un consigliere comunale del nemico, colpendo, di contro, gli stessi compagni del corteo socialista, causando la morte di una decina di scioperanti a pugno chiuso. A Ferrara, le “guardie rosse”, questa volta con mira migliore, evitarono il fuoco amico, puntando fucili e pistole sulla maggioranza silenziosa in corteo contro la violenza. Quegli spari su persone inermi e pacifiche riuscirono a disgustare la maggioranza dei ferraresi, fascistizzandoli.
Il liberaldemocratico Giovanni Amendola, che sarà poi vittima dello squadrismo fascista, nel settembre 1920, davanti a bullismo rosso, “sciopero continuo”, violenti picchetti armati, “Guardia rossa”, occupazioni delle fabbriche, vergò parole tuttora attuali, se si sostituisce “bolscevismo” con “islamismo” e “Soviet” con “Hamas”: “Come può darsi che lo Stato non venga direttamente tirato in questione dalla pratica ed attuale negazione di quella proprietà privata, che è garantita dalle sue leggi? O dalla violazione più completa del diritto personale, effettuata da individui e da organi che parlano e agiscono in nome di un diritto inconciliabile con l’ordine presente? O infine dall’impiego di forza armata contro la forza armata dello Stato e in sostegno della violazione continua e radicale delle sue leggi e in appoggio di una situazione la quale, mentre è incompatibile con l’istituzione statale italiana, obbedisce invece nello spirito e nelle forme alla volontà e alle vedute pubblicamente manifestate da uno Stato che sinora non è italiano e cioè dalla Repubblica dei Soviet?”.
Che dire? Gli antifascisti veri e onesti, quindi anche anticomunisti, (Giovanni Amendola denunciò le affinità elettive rosso-nere: “I comunisti sono gli epigoni nostrani dell’esperimento russo. Legittimando con la propria adesione la dittatura di Lenin, legittimano pure la dittatura fascista”) dovrebbero essere particolarmente preoccupati per le orde di manifestanti al grido “blocchiamo tutto”, evocanti quasi alla lettera la bestialità massimalista dei Giacinto Menotti Serrati e dei Nicola Bombacci, il “Lenin italiano” o, se si vuole, il prototipo dell’odierno Maurizio Landini. Bombacci, l’agitatore bolscevico, finirà mussoliniano di ferro.
Oggi, come allora, scioperi su scioperi, giammai per i diritti di chi lavora, vandalismi, violenze, caos. Siffatti furori ideologistici potrebbero scatenare da parte dei 58 milioni di italiani, che, non essendo agit-prop e cercando di moderare la passionalità con la razionalità, vorrebbero ideare, dubitare, riflettere, lavorare, produrre, studiare, maturare, viaggiare, fare l’amore e vivere in feconda pace cartesiana, una richiesta di ordine e di normalizzazione a qualsiasi costo, rinunciando anche a qualche garanzia costituzionale. Fra l’altro, 58 milioni di italiani sperano davvero nella pace in Medio Oriente, possedendo valori, civiltà e usanze diversissime dai fondamentalisti islamici e dai loro complici sfascisti, indegni epigoni dei comunisti, almeno quelli responsabili e seri come Giorgio Amendola, che osò, con scandalo, affermare che nelle scuole e negli atenei si va per studiare non per manifestare, non per occupare. Il fascismo, è bene ricordarlo, guidato alla vittoria da un duce (fu battezzato così dai compagni) socialmassimalista, fu l’ineluttabile conseguenza del “blocchiamo tutto”, della “Guardia rossa”, delle occupazioni, dell’elogio e della pratica della violenza e dell’assalto socialcomunista alle istituzioni dal 1914 al 1921, estremismi che spaventarono la maggioranza degli italiani, inducendo la monarchia e gli stessi liberali a legittimare l’altra violenza, quella degli squadristi fascisti. Dallo sfascismo al fascismo il passo fu breve.
Un tempo importammo ed accettammo slogan, cattivi maestri, pratiche e denaro dal Pcus e financo l’orrore dei processi maoisti negli stadi; oggi accogliamo migliaia di islamici anche pregiudicati o ricercati, comunque di religione opposta a quella della libertà e dei diritti civili, nonché denaro dai vari George Soros e da quanti intendono cambiare le carte geografiche, scompaginando soprattutto il Vecchio continente e l’Italia. Gli “acquisti” odierni, come quelli di ieri, stanno rendendo irrespirabile l’aria, preparando l’arrivo di reazioni con derive politiche potenzialmente pericolose. I veri e onesti antifascisti non possono che essere contro Hamas, l’islamismo, gli antisemiti, i flottiglianti, i manifestanti violenti, gli scioperanti del venerdì, gli imbecilli che imbrattano la statua di Giovanni Paolo II, con scritte da dementi come “fascista di merda” e la falce e martello. Dallo sfascismo al fascismo, dalla flotilla al balilla.
Aggiornato il 06 ottobre 2025 alle ore 10:52