È venerdì, “blocchiamo tutto”

Ma sì, che ci frega, blocchiamo tutto! Scioperiamo, bigiamo. Impegniamoci a che nessuno pensi di lavorare. E se a qualcuno venisse la voglia di mettersi contro la volontà della piazza, di fare il crumiro, di stare dalla parte del criminale di guerra nonché genocida Benjamin Netanyahu semplicemente provando a prendere un treno per recarsi a fare il proprio dovere di onesto lavoratore, sentirà sulla sua pelle tutta la violenza della giustizia del popolo. Oggi non è concesso ad alcuno di mettersi dalla parte sbagliata della storia: o si è pro-Pal o non si è; o si è con gli “eroi” della “Flotilla” o si sta con i nazisti del Terzo millennio che, nell’immaginario simbolico, hanno sostituito la svastica con la Stella di David. Poi però c’è un altro film: Israele che pone fine alla pagliacciata della missione navale targata Global Sumud Flotilla. Ma da noi, in Italia, imperversa la cinematografia alternativa, pronta ad allestire un’altra – l’ennesima – pellicola tragicomica, che manderà in visibilio il sofisticato pubblico del cineforum radical-chic.

La trama? Un action a base di scene violente, da Far West, segno che la pace dei pacifisti non è un pranzo di gala ma è roba forte, con crani (dei poliziotti) spaccati, vetrine dei negozi mandate in frantumi, locali commerciali devastati, automobili ribaltate, pali della segnaletica stradale divelti, cassonetti dei rifiuti dati alle fiamme, scuole e università prese d’assalto, binari ferroviari occupati per impedire la circolazione dei treni, aree portuali bloccate per fermare le operazioni commerciali delle navi in transito, bandiere rosse e Bella ciao a gogò e Maurizio Landini il quale, fingendosi posseduto dallo spirito di Rinaldo Rigola – primo segretario nazionale della Confederazione generale del lavoro (Cgdl) nata l’1 ottobre 1906 – con la bava alla bocca, urla e sbraita contro il Governo della “ducetta” Giorgia Meloni. È la rivolta sociale, bellezza! Finalmente, ci siamo. Tra la finzione della messa in scena di un sentimento umanitario e la realtà del gioco sporco della demagogia funzionano le sliding doors, un affare di porte scorrevoli installate nel mezzo del divenire della storia dell’Occidente.

Tutto previsto, tutto annunciato. Come in un romanzo di Gabriel García Márquez: tanto tuonò che piovve. Nel caso tutto italiano (sulla stampa internazionale dell’epopea della Flotilla solo una flebile e distratta eco), la pioggia che bagna, fino ad annegarli, i cuori dei sinceri democratici ha un claim, una parola d’ordine che sussume e assorbe nella scalcinata weltanschauung progressista il progetto politico delle opposizioni di sinistra per l’alternativa di governo alle destre fasciste, xenofobe, razziste e, da adesso, anche genocide. La parola magica, l’abracadabra che spalanca la caverna incantata delle meraviglie postmarxiste, è: Gaza.

Blocchiamo il Paese, il lavoro, la produzione per i salari? Per la sanità? Per il welfare? Per la desertificazione industriale? No, tutta roba démodé che non fa audience presso le nuove leve di “partigiani”. Gli odierni resistenti non salgono in montagna con le scarpe rotte, come i loro precorritori, ma in scarpe griffate pro sailing shoes e in cerata sailing (la pratica velica ha le sue regole, anche nel dress code che non va infranto a differenza delle altrui vetrine). E noi poveri cristi, che non capiamo? Bisogna sentirsi sollevati perché, dopo tre anni di angosciosa attesa, abbiamo appreso che la sinistra un programma politico per l’Italia ce l’ha e riguarda le sorti del popolo palestinese e della sua componente terrorista: Hamas. Finalmente la sinistra l’ha messo in chiaro: il nemico c’è, il male esiste e quel male è Israele. Li abbiamo uditi i bravi ragazzi nelle piazze pro-Pal gridare in coro che il 7 ottobre è stato l’unico vero grande momento resistenziale della santa causa palestinese contro il demone ebreo. Onore (quale non si sa, quando lo scopriremo ve lo comunicheremo) ai “compagni” che raccontano la verità sul bene e sul male; che con gli israeliani non si tratta; che la Palestina corre dal fiume al mare; che di Stato ve n’è da essere uno solo e deve chiamarsi Palestina.

Hanno ragione i maestri del pensiero progressista a dire che la rivolta pro-Pal sia una rappresentazione plastica di una condizione prepolitica che anticipa la rivolta morale. D’altro canto, cosa c’è di più morale che spaccare teste e vetrine in nome di un alto ideale? Il fine giustifica i mezzi, sempre e comunque quando il fine, nella giostra dell’autoscontro della storia, viene da sinistra. Poveri, patetici, illusi politici del centrodestra che ancora s’affannano, nel tentativo di tenere bassa la pressione nel Paese, a spaccare il capello in quattro, a dire che una cosa è Hamas un’altra sono i palestinesi. S’intestardiscono a ripetere qualcosa che non abbiamo mai udito dire dai palestinesi. Li abbiamo sentiti inveire contro Israele e contro i sionisti, imprecare per ciò che gli sta accadendo a Gaza; li abbiamo visti fare da sfondo alle manifestazioni di forza dei terroristi incappucciati; li abbiamo sentiti gridare Allahu akbar e fare da contrappunto operistico allo sventagliare dei 7,62 millimetri sputati a raffica dalle canne rigate degli Ak-47 dei guerrieri di Dio, ma non li abbiamo mai sentiti proferire parole di pietà per i massacrati del 7 ottobre, non li abbiamo mai uditi intimare agli sgherri di Hamas di andarsene da Gaza e di lasciarli vivere in pace; non li abbiamo mai sentiti pretendere dagli aguzzini di liberare gli ostaggi vigliaccamente catturati in quel maledetto 7 ottobre 2023; non li abbiamo mai sentito urlare ad Hamas “Gaza non è il tuo regno e tu non sei il nostro padrone”.

Ma per la sinistra non c’è niente da pretendere: quando si ama non si avverte il bisogno di chiedere all’amato prove d’amore. E la sinistra da sempre ha amato la causa della lotta armata palestinese, fin dai tempi dell’Olp, di al-Fatḥ, di “Settembre nero”, della prima Intifada. Oggi tutto è più chiaro: blocchiamo la Nazione perché, come ha spiegato la Cgil nel suo comunicato, ciò che i militari israeliani hanno fatto agli utili idioti della Flotilla è: “Un colpo inferto all’ordine costituzionale stesso che impedisce un’azione umanitaria e di solidarietà verso la popolazione palestinese sottoposta dal governo israeliano ad una vera e propria operazione di genocidio. Un attentato diretto all’incolumità e alla sicurezza di lavoratrici e lavoratori, volontarie e volontari imbarcati”. D’altro canto, perché dovremmo preoccuparci di quei 24 milioni di imbecilli italiani che, quotidianamente, si spaccano la schiena per dar da mangiare ai propri figli e, con gli stipendigandiani” che ricevono, neanche ci riescono.

Il problema è la solidarietà agli unici veri lavoratori che debbono starci a cuore: quelli della crociera velica. Non ci sarebbe mai venuto in mente di invidiare la vita di un operaio, ma se i lavoratori da difendere e da santificare sono quelli della Flotilla, che senso ha intestardirsi in attività obsolete? Barca a vela per tutti. Potrebbe mai non piacerci un mondo plasmato dal pacifismo unidirezionale dei progressisti? È probabile che lo scopriremo presto, pressappoco intorno alle ore 15 di lunedì prossimo, quando verranno scrutinate le schede per l’elezione del presidente della Regione Calabria. In quel momento si capirà quanto il messaggio di pace, amore e vento di bolina della sinistra avrà fatto breccia nelle “cape toste” degli elettori. Si capirà quanto gli italiani non desiderino altro che parlare di Palestina e di null’altro. Questa sinistra ci sta insegnando che i principi valgono più degli interessi concreti. Detta così, sarebbe una bellissima cosa se non fosse che dietro le mentite spoglie degli alti ideali e delle nobili cause si celano sordidi inganni ideologici.

Un caso concreto. Lo scorso 30 settembre, al porto di Livorno “l’invincibile armata” dei pro-Pal ha ottenuto una vittoria storica: ha costretto il prefetto di Livorno, Giancarlo Dionisi, ad annunciare che, a seguito delle proteste dei portuali e della cittadinanza, la nave portacontainer Zim Virginia della compagnia di navigazione israeliana Zim, approdata al Terminal Darsena Toscana, avrebbe dovuto allontanarsi dallo scalo. Cosa che è avvenuta. Il segretario generale della Cgil Livorno, Gianfranco Francese, con orgoglio, ha commentato: “Un risultato importante non solo per la comunità portuale ma per tutta la città. La comunità portuale labronica rigetta con forza la strategia genocida del governo Netanyahu”. A fargli eco l’Unione sindacale di base (Usb): “La nave Zim Virginia non scaricherà né caricherà nel porto di Livorno: altra vittoria dello sciopero”.

Un successone aver messo in fuga il nemico: la Zim Virginia ha mollato gli ormeggi e se n’è andata. Ma non ha fatto rotta con la coda tra le gambe verso Israele, come ci si sarebbe aspettato. Nossignore, la nave ha puntato a Ovest, verso Barcellona dove è giunta ieri. Di regola, ci si aspetterebbe dai portuali catalani la medesima intransigenza mostrata dai livornesi. Ma siamo curiosi, vogliamo sapere come va a finire. Già, perché se poi dovesse accadere che i bravi portuali spagnoli optassero per la tasca invece che per l’ideale, se più dell’onore potesse il digiuno e allora forza a scaricare il carico dell’odiata nave israeliana, ci sarebbe da tornare a far visita ai livornesi e, immuni da sentimenti di odio, limitarsi a guardarli in faccia e a dirgli a brutto muso: siete proprio dei… cacciucchi.

Aggiornato il 03 ottobre 2025 alle ore 09:35