
La più antica manifestazione eclatante di quel fenomeno umano che vorrei definire “fazionismo” risale all’impero romano. Le tifoserie delle corse dei carri nel Circo Massimo a Roma e nell’Ippodromo di Costantinopoli erano chiamate, appunto, “fazioni”, identificate dai colori. In origine erano quattro le fazioni: rossa, bianbca, verde, azzurra. A Costantinopoli la verde e l’azzurra furono le fazioni dominanti. I colori rappresentavano le quattro stagioni, i quattro elementi oppure il mare e la terra. Domiziano volle aggiungervi le fazioni aurea e purpurea, che però, morto lui, svanirono. “Gl’imperatori non son buoni a creare neanche le fazioni; ma le fazioni creano gl’imperatori e cose simili”, commentò Nicolò Tommaseo. Una verità che perdura, cambiando quel ch’è da cambiare.
Una fazione era contrapposta all’altra per motivi da ricondurre al tifo per gli aurighi ed i cavalli. Similmente oggi per i calciatori e le squadre. L’antagonismo era fortissimo, come accade nel confliggere delle passioni e dei fanatismi. Le fazioni finirono inevitabilmente per assumere connotati politici, che esacerbarono la conflittualità al punto che la folla dell’Ippodromo, nella sanguinosa “rivolta di Nika” del 532 dopo Cristo, cercò di detronizzare l’imperatore. Sarà per l’origine del nome, sta di fatto che il significato latino di fazione ha soltanto sfumature negative, che ha conservato tutt’oggi a ben vedere. Eppure fazione viene da “factio” che designava l’azione del fare in generale e, nel corso dei secoli, ebbe significati neutri o commendevoli. Abbiamo vocaboli connessi a fazione: faziosità, fazioso, mentre “fazionismo” sembra pressoché sconosciuto o raramente usato in contesti diversi da quello in questione, forse tradotto da o in inglese con “partisanship” (partigianeria) o “factionalism” (faziosità).
Il “fazionismo”, come qui lo intendo, ha un significato piuttosto politologico che sociologico. Indica lo stato, quanto transitorio nessuno può predire con sicurezza, in cui versa un sistema politico avviato ad abbandonare i connotati del “governo rappresentativo”, cioè liberale e democratico. Il “fazionismo” può essere paragonato all’esantema di una malattia mortale per la convivenza civile che la democrazia liberale tende, appunto, ad assicurare al meglio, secondo il concetto di Churchill: “Nessuno pretende che la democrazia sia perfetta o assoluta. In effetti è stato detto che la democrazia è la peggiore forma di governo eccettuate tutte quelle altre che sono state provate di tempo in tempo”. La democrazia liberale non sopporta a lungo il “fazionismo”, perché incompatibile con essa. Nicolò Tommaseo ne dà una definizione precisa, che spiega l’incompatibilità: “Il senso, purtroppo maggiormente usato, non però dal povero popolo, è di Setta, la qual divide una società in parti che vestono l’odio d’amore, l’invidia di zelo, la prepotenza di magnanimità, di generosità la cupidigia, d’audacia la paura. L’origine sua da Fare ha la stessa ragione che il Farsi contro e Clamores facere di Cicerone.” Tommaseo aggiunge che “Fazione si dovrebbe chiamare Infezione perché non sa fare e non fa che infettare”.
L’essenza, se così posso esprimermi, del “fazionismo” consiste dunque nella divisione della società in due o più parti contrapposte, prepotenti, invidiose l’una dell’altra, che si odiano reciprocamente, cupide e impaurite, unite da scambievole inimicizia. Così divise, fronteggiandosi, dimostrano d’amare la democrazia liberale quanto basta per servirsene contro di essa e asservirla. Il “fazionismo” costituisce di fatto, quindi, una vera e propria reazione alla democrazia liberale come formatasi e affermatasi nell’Occidente. In tal senso rappresenta un moto, se non proprio ancora una ideologia compiutamente conformata, disinteressato al retto funzionamento delle istituzioni democratiche e liberali, che al contrario concepisce come orpelli ingannevoli e ostacoli pericolosi per la sua piena e compiuta affermazione.
Nel secolo XX la distruttiva reazione contro la democrazia liberale fu promossa e realizzata dal fascismo, nazismo, comunismo. L’analoga reazione, che nasce e cresce nella prima metà del XXI secolo propiziata dal “fazionismo”, è parimenti distruttiva dell’autogoverno politico e della libertà individuale. Il “fazionismo” non attacca frontalmente il “governo rappresentativo”, né in quanto modello né in quanto sistema, almeno non ancora, ma li denigra e corrode come antifrasi della vera democrazia e della vera libertà che solo il “fazionismo” conosce e propaganda da imbonitore di un regime in fieri, indefinito ma brandeggiato come un modello ideale. Il “fazionismo” coltiva programmaticamente gli eccessi, è smisurato, incontrollato, squilibrato. Sebbene democraticamente insediato, sacralizza il potere: “Dio lo vuole. Dio è con noi”.
Non soltanto perché “per amare giustamente la democrazia, si deve amarla con moderazione” (Pierre Manent, “Tocqueville e la natura della democrazia”), ma soprattutto per la sua quintessenza, antitetica al liberalismo, il “fazionismo” costituisce un’insorgenza reazionaria. L’antitesi liberalismo/illiberalismo (il sostantivo illiberalismo, ignoto al vocabolario, lo usai nell’articolo “Illiberalismo”, Nuova storia contemporanea, volume 3/2023, pagina 49) è stata mirabilmente spiegata da José Ortega y Gasset nel saggio “La ribellione delle masse”: “Il liberalismo è il principio di diritto politico secondo il quale il Potere pubblico, benché onnipotente, si limita da sé stesso, e cerca, anche a sue spese, di lasciare un posto nello Stato affinché possano viverci anche quelli che né pensano né sentono come lui, vale a dire come i più forti, come la maggioranza. Il liberalismo, oggi conviene ribadirlo, è la generosità suprema: è il diritto che la maggioranza concede alle minoranze; è il più nobile appello che sia risuonato sul pianeta. Tiene ferma la sua risoluzione di vivere in comune col nemico e, ciò che più conta, con un nemico debole. È inverosimile che la specie umana sia pervenuta ad una attitudine così bella, così paradossale, così elegante, così acrobatica così antinaturale. Proprio perché non è affatto straordinaria, questa stessa specie umana decide tutto ad un tratto di abbandonarla. È un esercizio troppo difficile, troppo complicato perché possa mantenersi sulla terra. Vivere con il nemico! Governare con l’opposizione! Una tale benevolenza non comincia forse ad essere incomprensibile? Niente accusa con maggiore chiarezza il tempo presente quanto il fatto che i Paesi dove esiste l’opposizione sono sempre meno numerosi. Pressoché dappertutto, una massa omogenea esercita una pesante pressione sul potere pubblico, e schiaccia, annienta tutti i gruppi di opposizione. La massa (chi lo direbbe a vedere il suo aspetto così compatto e minaccioso?) non desidera affatto vivere in comune da chi è diverso da essa. Odia mortalmente chi è diverso”.
José Ortega y Gasset scrive nel 1930, allorché il comunismo sovietico è consolidato, il fascismo italiano celebra gli anni del consenso, il nazismo sta per conquistare il potere. L’odio mortale verso il politicamente diverso era già dogma accettato a Mosca, Roma, Berlino. Oggi quel dogma ha conquistato metà del mondo e i Paesi dove esiste l’opposizione sono ancor meno numerosi e la presenza stessa di un’opposizione è riguardata come un fastidio che non dovrebbe ricevere la dovuta benevolenza. Ma un diritto, come la potestà di opporsi al potere politico senza subire conseguenze, affidato alla compiaciuta condiscendenza dei governanti, rappresenta il fantasma della libertà, non la libertà stessa.
Nel 1930 la reazione della “massa omogenea” annientò i gruppi d’opposizione. Al giorno d’oggi la reazione è messa in atto da una fazione contro l’altra, meno con lo scopo di preservare l’opposizione che di controllarla se non annientarla, il che resta il fine ultimo sottinteso dalle fazioni, come prova la loro simpatia per i regimi senza opposizione. Non più la “massa omogenea” esercita una pesante pressione sul potere pubblico, bensì il potere pubblico foggia la “massa omogenea” in fazione, lanciandola in battaglia contro la “massa omogenea” antagonista, trattata da fazione contrapposta, deprivata del nome, della dignità e della funzione di opposizione.
Aggiornato il 19 settembre 2025 alle ore 10:52