
L’ambiguità con cui è stato commentato in Italia l’efferato omicidio di Charlie Kirk da parte di alcuni esponenti dell’intellettualità di sinistra richiama alla memoria gli anni bui del terrorismo e fa, nel contempo, scattare l’allarme circa la presenza nel nostro Paese di un’area politica che crede ancora nella violenza quale strumento essenziale per combattere l’avversario. Si rimane, in tal modo, distante anni luce da uno dei princìpi cardine della democrazia: la libertà di potere esprimere liberamente le proprie idee, senza correre il rischio di essere eliminati fisicamente. L’idea della violenza quale motore della storia, come si sa, affonda le radici nel pensiero marxista-leninista nella cui prassi l’insurrezione armata viene considerata come un passaggio obbligato per sovvertire l’ordine costituito. Una dottrina che troverà terreno fertile nella sinistra comunista del Dopoguerra (finanche per il “moderato” Palmiro Togliatti il Parlamento altro non era che il “comitato d’affari della borghesia”) e che diventerà centrale nella formazione dei movimenti più radicali dal Sessantotto in poi.
Talché in breve tempo, si passò dalle manifestazioni con il passamontagna calato e la P38 in mano al terrorismo delle Brigate rosse, di Prima linea e dei Nuclei armati proletari. I terroristi passarono per le armi magistrati, politici, imprenditori, giornalisti, forze dell’Ordine, sindacalisti, sempre presentando le loro azioni come “nuova resistenza” ed esaltando il loro operato di criminali come “atti di guerra rivoluzionaria”. Il punto culminante di quella stagione di piombo si raggiunse con il sequestro e l’uccisione del presidente della Democrazia cristiana, Aldo Moro. Eppure, a fronte di tanta crudeltà, per non pochi esponenti dell’élite politico-culturale della sinistra coloro che ammazzavano senza pietà continuavano ad essere chiamati “compagni che sbagliano” e mai additati per ciò che erano: semplici assassini. La “peggio gioventù” e i loro “cattivi maestri” sono costati all’Italia in meno di due anni centinaia di morti e più di mille feriti molti dei quali con gravi danni permanenti.
L’allarme circa la possibilità che il clima violento di quegli anni possa ripetersi nasce dalla constatazione che, nonostante il terrorismo sia stato sconfitto dalla storia, persistono nel nostro Paese molti riferimenti ideologici e simbolici di un passato che sembra non volere passare. In tal senso, il fascino che la violenza politica continua ad esercitare presso una certa sinistra rappresenta il segnale che in Italia, a differenza di quanto accaduto in Germania con la Rote Armee Fraktion, il capitolo relativo al terrorismo e ai suoi fiancheggiatori non sia mai stato affrontato in termini critici dall’intera sinistra. La conferma giunge dal fatto che i “cattivi maestri”, nonostante la loro ambiguità nel commentare l’omicidio di Charlie Kirk, continuino a ricevere ancora oggi dalla cultura mainstream segni di attenzione e rispetto. Occorre avere contezza che finché la violenza sarà tollerata, la democrazia italiana rimarrà esposta al rischio di rivivere una delle pagine più oscure della sua storia.
Aggiornato il 18 settembre 2025 alle ore 09:38