
Come volevasi dimostrare. Dopo le ovvie polemiche conto l’appello anti israeliano per boicottare gli attori dello Stato ebraico e i simpatizzanti di Israele, promanato da persone che hanno all’uopo strumentalizzato la Mostra del Cinema di Venezia, sono cominciate le precipitose marce indietro. Con interviste ad hoc concordate per salvare il salvabile. Prima Roberto Andò, poi Toni Servillo, infine – prima pagina di venerdi scorso sul Corrierone – Carlo Verdone. Tutti nomi che in effetti in mezzo a quei vip di sinistra e figli di papà cinematografaro ci stavano come i cavoli a merenda. D’altronde, quel che diceva Indro Montanelli decine di anni or sono è sempre valido: chi si firma è perduto. Sembrava in effetti di rivedere un remake della vergognosa petizione contro il commissario Luigi Calabresi, che pochi mesi dopo venne ucciso dai terroristi del partito armato comunista. Anche allora fu una corsa al ripensamento attivo.
Si potrebbe anche constatare che alcuni di questi agit prop e di firmatari in servizio permanente effettivo sempre nostalgici delle atmosfere dell’epoca del Vietnam non imparano mai nulla dai propri errori. E da quelli di coloro che li hanno preceduti. Ci sta una coazione a ripetere che è peggio di quella del cane di Ivan Pavlov. Indomabile. Facile dire adesso che “una risata li ha seppelliti”. È la costante ricerca di un nemico nell’Occidente che stupisce, in un’epoca in cui il mondo non sa come difendersi dal terrorismo islamico e da chi lo utilizza geo politicamente. Sin dall’11 settembre 2001. A dir poco. Non è bastata Oriana Fallaci che era una di loro, di sinistra, e che si è dovuta ricredere. Non è servito il pamphlet uscito postumo dell’ex direttore di Charlie Ebdo, Lettera ai truffatori dell’islamofobia. Sinistra e Hamas ormai marciano forse divisi, ma colpiscono di sicuro uniti nella propria crociata contro la società del benessere, il capitalismo, l’America e per l’appunto Israele.
Dispiace dirlo perché Verdone è un grande, ma quella mezza giustificazione abbozzata nella prima risposta alla prima domanda dell’intervistatore fa pensare e gli fa veramente poco onore: “Mi aveva chiamato la figlia di (Ettore) Scola”. Tanto basta, siamo amici di famiglia, ci si aiuta e si da retta pure alle cose assurde. Se questo è il cinema italiano, nemmeno un raddoppio dei fondi pubblici tanto discussi potrà salvarlo. La malattia è troppo profonda: si chiama spocchia, presunzione, fighettismo, camarilla. È quasi incurabile quando si cronicizza.
Aggiornato il 01 settembre 2025 alle ore 09:55