Un ponte per sognare in grande

La notizia del giorno è l’approvazione in via definitiva del progetto di costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina, da parte del Comitato interministeriale per la Programmazione economica e lo Sviluppo sostenibile (Cipess). È importante che un primo risultato sia stato conseguito. Dopo una querelle durata decine di anni – della costruzione del Ponte si discute a fasi alterne dal 1968 – finalmente qualcosa si muove nella giusta direzione. Il Ponte si farà e sarà un’opera grandiosa. Già i numeri del manufatto sono da capogiro: 3.666 metri di lunghezza, 3.300 metri la campata sospesa, 60 metri la larghezza dell’impalcato, 399 metri l’altezza delle torri. Sarà il ponte a campata unica più lungo al mondo. Sarà l’ottava meraviglia dell’età contemporanea e stupirà i popoli come, nell’antichità, stupivano il Faro di Alessandria e la piramide di Cheope. Impressionerà l’imponenza della costruzione perché sarà la rappresentazione simbolica della capacità dell’essere umano di trasferire il mito della grandezza del suo genio nell’opera visibile, materialmente palpabile, posta al servizio del suo bisogno di sviluppo per procedere nella storia.

Al momento, l’attenzione maggiore è riservata ai numeri della mobilità che l’infrastruttura potrà garantire una volta realizzata. Si prevede una capacità massima di 200 treni al giorno e 6.000 veicoli l’ora che garantiranno la continuità territoriale tra la Sicilia e la penisola. Sul versante calabrese, i collegamenti stradali si estenderanno di circa 10 chilometri; il tratto ferroviario sarà collegato sia alla linea tirrenica esistente, sia alla futura linea ad alta velocità/alta capacità Salerno-Reggio Calabria. Sul versante messinese, saranno realizzati 10,4 chilometri di strade e 17,5 chilometri di ferrovie che si collegheranno alla rete regionale della Messina-Palermo e Messina-Catania. E, in terra di Sicilia, sorgeranno tre stazioni ferroviarie per servire la rete dei trasporti urbani su ferro che uniranno le realtà di Messina e di Reggio Calabria.

Il Ponte porterà più velocemente le produzioni siciliane in Europa e il Nord del continente in Sicilia, creando un effetto trascinamento per l’intera economia del Sud Italia. Ecco perché il Governo ha qualificato la costruzione del Ponte quale opera strategica per l’interesse nazionale. I tempi di realizzazione previsti dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti fissano la piena operatività della struttura al 2032. C’è da augurarsi che la fase esecutiva procederà alla medesima cadenza da cronoprogramma tenuta per la ricostruzione del Ponte Morandi a Genova e non a quella (vergognosa e disperante) della costruzione della autostrada Salerno-Reggio Calabria. Sulle ricadute economiche dell’opera non c’è da discutere: anche un bambino capirebbe che l’infrastruttura sarà un acceleratore di sviluppo e che i 13,5 miliardi di euro stanziati a copertura del costo di realizzazione saranno ripagati con l’aumento di Pil previsto per l’economia siciliana, nel volgere di due/tre anni dalla sua entrata in funzione.

Ciò su cui invece poniamo l’accento è un aspetto del tutto ignorato dalla polemica spicciola in corso in questi giorni. La sinistra “benaltrista” si oppone fermamente all’opera. Sostiene che sia inutile spreco di risorse pubbliche, le quali potrebbero essere impiegate per riparare i molti guasti della mobilità italiana. La risposta più ovvia a tale obiezione sarebbe: se vi sono delle urgenze annose sulla mobilità che meritano attenzione prioritaria, perché quando la sinistra ha governato recentemente, non un giorno ma quasi un decennio, non ha fatto ciò che oggi reputa essenziale e irrinunciabile fare? Ma questa domanda, chiaramente provocatoria, servirebbe soltanto a rinfocolare una polemica miserevole che, francamente, non suscita il nostro interesse. Quello che emerge dalla volontà del Governo Meloni di realizzare il Ponte attiene a qualcosa di più profondo e radicato nella natura umana: la ricerca di nuovi miti nei quali riconoscere i segni distintivi della perfettibilità umana. L’uomo ha bisogno dei miti per vivere una vita che sappia prendere le distanze dalla quotidianità; che sappia proiettarsi verso la perfezione pur nella consapevolezza che non la raggiungerà mai. Come il suo tempio interiore, l’essere umano dotato di spiritualità non avrà mai un tetto chiuso a completarlo mentre uno spicchio di cielo stellato resterà sempre vigile e presente nel suo campo visivo. Nondimeno, quell’uomo sente il bisogno di rimanere operoso nella sua officina per non smettere di immaginare, di pensare, di progettare, di edificare. Egli desidera credere incrollabilmente che la realtà non sia solo l’aria cattiva che respira nel presente. Non sia solo odio, sopraffazione, ingiustizia, corruzione, bruttura, ma vi sia altro da provare, da sentire, da guardare, da ammirare. Credere per sopravvivere.

L’aspirazione all’eterno – o al suo surrogato terreno che è il “perenne” – è stata, nel tempo, sovente frustrata dall’incatenamento della sua forza creativa alle rigide maglie dell’ideologia. Che, in special modo a sinistra, hanno trasformato in direttive astratte a contenuto universalistico i “miracoli” che la scienza ha cominciato a produrre dal XVII secolo, in un quel big bang filosofico-culturale che fu la cosiddetta “Età dei lumi”. È così che il progresso è divenuto vittima e ostaggio del suo carnefice: il progressismo. Il “no al Ponte”, sentenziato con arrogante sicumera dalla sinistra, scaturisce dalla matrice dogmatica, cieca e ottusa, di un’ideologia che non osa andare contro il suo stesso pregiudizio. Tuttavia, se Atene piange, Sparta non ride. Anche la destra si ritrova a fare i conti con le proprie angosce esistenziali, oggi che è posta al cospetto di un nuovo mito dotato di grande vigore energetico. Per anni, quella destra – è un’ammissione autocritica – è rimasta bloccata nella gabbia di quelli che Marco Tarchi definiva i suoi “miti incapacitanti”.

Per troppo tempo quella destra è rimasta accovacciata sul limitare del tempo storico attendendo la “fine del ciclo” cerchiato con la matita rossa non nel libro delle profezie di Nostradamus ma nelle pagine eroiche ed esaltanti di Julius Evola, l’antimoderno. Il “Ponte” è la rappresentazione simbolica di un archetipo, poco frequentato dalla destra, di una conoscenza insieme scientifica, tecnologica e artistica, alta, evoluta, superiore, ma non schiava dell’Inquisizione scientista, razionalista, relativista, le cui scorie contaminanti sono ancora tra noi. Il Ponte come mito di una modernità che ci possiede, ci travolge, ci infiamma. Essa restituisce al nostro tempo una visione di futuro che non è catastrofica né distopica, come lo è invece il progressismo intrappolato nelle maglie dell’ambientalismo apocalittico. Dovremmo essere grati al Governo Meloni per questo? Sì, dovremmo. Perché l’ostinazione di Matteo Salvini e la vista lunga di Giorgia Meloni ci stanno donando un modo fattuale – per dirla alla Ludwig Wittgenstein (l’altro è quello concettuale) – di accedere a un mondo possibile da abitare, senza soverchi drammi e ansie esistenziali. Un mondo bello, in un tempo nuovo e migliore, tenuto su con cavi fatti da 44.323 fili d’acciaio.

Quel ponte sarà percorso, attraversato senza la paura di precipitare nel vuoto; senza preoccuparsi di ciò che vi sarà dopo. Si obietterà: è solo una colata di cemento e ferro. No, è un’incursione nel futuro prossimo di cui da troppo tempo avvertivamo il bisogno. È scrivere la storia, oltre la stagione tramontata della nostra vicenda individuale e collettiva. È lasciare traccia ai posteri di esserci stati. Al pari di quell’egiziano che era lì mentre venivano issati i blocchi di pietra delle piramidi, di quel rodiota che era presente quando furono gettate le fondamenta del “Colosso”, ugualmente noi potremo dire di esserci stati quel giorno della posa della prima pietra del Ponte, allo stesso modo e con le medesime speranze di quando – noi presenti da remoto via tubo catodico – accompagnammo col cuore e con la mente il primo uomo a mettere piede sul suolo lunare. Significa lasciare un segno per le generazioni a venire che non è mera testimonianza. E vi pare poco?

Aggiornato il 08 agosto 2025 alle ore 10:40