Caso Almasri: che pasticcio!

È di nuovo bufera sulla politica italiana. A scatenarla è Giorgia Meloni in persona, attraverso un post su Facebook. Il premier è furioso. L’oggetto della sua ira è una comunicazione del Tribunale dei ministri di Roma che ha disposto l’archiviazione delle indagini a suo carico, relativamente alla nota vicenda della liberazione del generale libico Osama Elmasry Njeim. Dovrebbe essere una buona notizia, invece per il capo del Governo non lo è. Meglio: è assurda. Perché? Secondo Giorgia Meloni, i giudici avrebbero giocato un tiro mancino alla sua credibilità di leader archiviandone la posizione giudiziaria e, nel contempo, decidendo di mandare a processo gli altri indagati nella medesima procedura, segnatamente: il ministro della Giustizia Carlo Nordio, il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio nonché Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, Alfredo Mantovano. La motivazione del suo proscioglimento è obiettivamente maliziosa: la presidente Meloni non va processata perché, non essendo stata preventivamente informata della vicenda in atto, non ha condiviso la decisione del rimpatrio in Libia di Almasri, in violazione delle disposizioni della Cpi e, quindi, non ha rafforzato il programma criminoso che invece verrebbe contestato agli altri indagati.

Prima però di avventurarci in un giudizio complessivo su quello che mostra i contorni tipici di un pasticcio politico, ripercorriamo la vicenda. Il 19 gennaio 2025, la Digos ferma a Torino il cittadino libico Osama Elmasry Njeem, su mandato di arresto internazionale numero ICC-01/11-149-US-EXP emesso dalla Corte penale internazionale (Cpi). Il libico è sospettato di essere a capo di un’organizzazione che nel suo Paese gestisce i campi di prigionia in cui sono trattenuti i migranti che aspirano a entrare in Europa attraverso il corridoio italiano. Almasri è indagato per crimini contro l’umanità e crimini di guerra, essendo sospettato di aver preso parte alle torture e agli stupri perpetrati a danno degli adulti e dei bambini illegalmente trattenuti nei suoi centri. Il libico è a Torino, ma era in giro per l’Europa da diversi giorni. Infatti, prima di giungere nel capoluogo piemontese, per assistere alla partita di calcio Juventus-Milan, era in Germania. Lì, pur essendo stato intercettato dalla polizia tedesca, era stato lasciato libero di proseguire il suo viaggio verso l’Italia.

In base alla legge numero 237 del 20 dicembre 2012, che regola il coordinamento tra la Corte penale internazionale e le autorità italiane per l’esecuzione dei provvedimenti adottati dalla Cpi, la Corte d’appello di Roma, competente a pronunciarsi sulla conferma dell’arresto, con propria ordinanza numero 1/2025 R.G.A.I., conclude per l’irritualità dell’arresto dell’interessato e per l’insussistenza della richiesta di applicazione della misura cautelare e ne dispone l’immediata scarcerazione. Almasri viene prelevato da agenti della nostra sicurezza, imbarcato su un’areo dell’Aeronautica militare e condotto a Tripoli, dove lo accoglie una folla esultante. É il 21 gennaio 2025.

In Italia si scatena la bagarre politica. Le opposizioni accusano il Governo di aver liberato un criminale della peggiore specie. Il presidente del Consiglio e i ministri coinvolti nella vicenda si difendono sostenendo di aver dato seguito a una decisione assunta in sede giudiziaria. Per il Governo la colpa è dei giudici che lo hanno liberato. E i magistrati? Le motivazioni che hanno portato alla scarcerazione di Almasri sono contenute nell’ordinanza che ne dispone il rilascio. Sostanzialmente, l’irritualità dell’arresto sarebbe stata nel fatto che la Polizia giudiziaria avrebbe agito in conformità delle norme procedurali applicate nei procedimenti di estradizione ma non nel rispetto delle disposizioni contenute nella legge numero 237/2012. Nello specifico: la Digos avrebbe operato l’arresto su propria iniziativa mentre “la richiesta di emissione della misura cautelare nei confronti del sospettato interessato da un mandato di arresto internazionale da parte della Cpi, nei sensi e per gli effetti dell’articolo 11 della legge 237/2012, di competenza del procuratore generale presso la Corte di appello di Roma, debba essere preceduta da una richiesta inviata dalla Cpi al Ministero della Giustizia, unico titolare delle richieste di cooperazione da parte della Cpi e responsabile della trasmissione delle medesime alla Procura Generale competente”( fonte: Unione delle Camere Penali Italianedocumento della Giunta e dell’Osservatorio Europa, Roma, 25 Gennaio 2025).

Prima che la Digos ammanettasse Almasri, il ministro della Giustizia Nordio avrebbe dovuto ricevere una formale richiesta in tal senso da parte della Corte penale internazionale. Richiesta che alle evidenze processuali non era pervenuta prima dell’arresto. Nel corso dello scontro mediatico-politico salta fuori una denuncia presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Roma presentata dall’avvocato Luigi Li Gotti – figura enigmatica che ha attraversato da attore secondario la stagione della lotta alla mafia in qualità di difensore di alcuni famosi pentiti – per ipotesi di reato di favoreggiamento e peculato, a carico del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, dei ministri dell’Interno e della Giustizia, Matteo Piantedosi e Carlo Nordio, e del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, titolare della delega ai servizi segreti, in merito alla vicenda Almasri.

Questi i fatti. Ora la politica. Il Tribunale dei ministri ha deciso di tenere fuori la Meloni. C’è una volontà pretestuosa in questa scelta dei giudici? Indebolire la figura della leader facendola apparire alla stregua di un burattino manovrato da astuti burattinai (i ministri)? Può darsi. Ma, francamente, la cosa ha scarso rilievo. La verità è che la frittata è stata fatta quando il Governo si è incartato su una vicenda che doveva essere azzittita sul nascere. Sarebbe stato sufficiente apporre il segreto di Stato sull’operazione e tutto il polverone che ne è derivato, destinato a durare mesi e a tenere sulla graticola Governo e maggioranza, non avrebbe avuto ragione di essere. Anche Giorgia Meloni deve comprendere che non sempre si può ottenere tutto, avere insieme la botte piena e la moglie ubriaca. Almasri è una canaglia che andrebbe appesa a una corda. Però, è anche colui che ha la mano sul rubinetto che regola il flusso di immigrati verso l’Italia. Incarcerarlo con i tanti italiani presenti in Libia in quelle ore e a rischio di gravi rappresaglie per mano dei compari di Almasri? Era chiaro che il caso fosse una patata bollente, trasformatasi in una polpetta avvelenata nel momento in cui le autorità tedesche, informate dell’alert emesso dalla Cpi su Almasri, invece che trattenerlo, si sono premurati di affrettarne la partenza verso l’Italia perché fosse nostra e non loro la gatta da pelare.

Bisognava mettere l’intera vicenda sottochiave e non giocare al rimpiattino con la magistratura rovesciando sulle spalle della Corte d’appello di Roma tutte le responsabilità del caso. Errore tattico grossolano, perché i magistrati non sono fessi e hanno tutti gli strumenti per rigirare la frittata a loro vantaggio. Adesso resta poco da fare e da indignarsi. C’è, piuttosto, da tenere i nervi saldi e lasciare decantare la rabbia per non fornire benzina alla polemica incendiaria dell’opposizione. La legge prevede che il Tribunale dei ministri trasmetta gli atti al procuratore della Repubblica per la loro immediata rimessione al presidente della Camera competente onde ottenere l’autorizzazione a procedere in giudizio (legge costituzionale numero 1 del 1989). Il Governo gode di una solida maggioranza in entrambi i rami del Parlamento, ragione per la quale non vi è possibilità alcuna che un procedimento a carico dei ministri Nordio, Piantedosi e del sottosegretario Mantovano possa approdare in un’aula di giustizia. Ora, l’atteggiamento più sensato è quello di ammettere di avere commesso una cavolata e, per questo, di non dover continuare a rinfocolare una polemica che recherebbe solo danno all’immagine e alla credibilità del Governo.

Quindi, pratica chiusa. Si passi oltre. Con un’unica ma necessaria prescrizione da annotare in calce: dovessero capitare in futuro casi analoghi, Meloni e soci evitino di fare i fenomeni e facciano ciò che per secoli tutti i Governi del mondo hanno fatto per navigare sicuri nelle zone d’ombra della geopolitica, che ci sono state e sempre ci saranno, e che hanno permesso a schiatte di canaglie e di figli di puttana di farla franca perché, sebbene criminali da forca, servivano una ragione di Stato, quale che fosse. Governi e Stati si reggono anche così, con le mani sporche di palta e sangue. Si chiama Realpolitik. L’escremento su cui siamo inciampati si chiama Almasri. Facciamocene una ragione, puliamoci la suola delle scarpe e andiamo avanti.

Aggiornato il 06 agosto 2025 alle ore 09:48