Le mosche cocchiere dell’opposizione

In stile mosche cocchiere, i leader dellopposizione si ricompattano miracolosamente sul tema caldo dei dazi imposti da Donald Trump. A parte Carlo Calenda che, con qualche fondamento, ha criticato l’apparente arrendevolezza di Ursula von der Leyen, tutti gli altri hanno puntato il dito anche contro il Governo italiano, colpevole di altrettanta arrendevolezza. “Quello raggiunto dall’Ue – sostiene Elly Schlein – con Trump non è un buon accordo come sostiene il governo Meloni. Ha i tratti di una resa alle imposizioni americane, dovuta al fatto che il governo italiano, insieme ad altri governi nazionalisti totalmente subalterni a Trump, ha spinto per una linea morbida e accondiscendente che ha minato l’unità europea e indebolito la posizione negoziale dell’Ue”. Stessa linea per Giuseppe Conte, il quale dichiara: “Alla fine la lunga partita dei dazi è giunta a conclusione. E come in ogni duello c’è un vincitore – il presidente statunitense Trump – e uno sconfitto, anzi due: l’Unione europea e Giorgia Meloni”. Idem con patate per Nicola Fratoianni, secondo cui, riferendosi all’accordo raggiunto, “Trump, von der Leyen e Meloni contenti, portano al disastro sociale”.

Ancora più duro il “moderatoMatteo Renzi: “L’accordo tra Stati Uniti ed Europa sui dazi non è un accordo: è la resa incondizionata dell’Europa al sovranismo di Trump. La verità è che i sovranisti fanno male al mondo. E se oggi il governo americano festeggia, accordi coloniali di questo genere porteranno sul medio periodo gli Stati Uniti a perdere la propria forza morale ed economica. Con il Piano Marshall l’America ha guidato il mondo per decenni, con le tariffe l’America fa del male innanzitutto ai propri alleati europei”.

Ora, a parte alcuni fondamentali dettagli ancora non chiariti – tra cui comprendere se questo 15 per cento contiene la quota relativa alle tariffe precedenti, così come sembra, o se esso si deve aggiungere a quest’ultime – e premettendo che c’è ben poco di logico e costruttivo nella linea commerciale imposta del presidente americano, i cui danni verranno pagati anche dai suoi concittadini, viene spontaneo rivolgere una domandina delle cento pistole ai citati esponenti dell’opposizione: c’era forse una alternativa ad una disastrosa guerra commerciale? In questo senso, vista la determinazione del tycoon sui dazi, che in soldoni non sono altro che nuove tasse che pagheranno i contribuenti statunitensi, esistevano solo due possibilità: scendere a patti, così come è avvenuto, o iniziare una inevitabile escalation a base di contro tariffe dagli esiti catastrofici. Tertium non datur, quindi, checché ne dicano i leader di un campo largo che, in quanto alle difficili questioni della politica estera, mostrano una visione alquanto ristretta.

D’altro canto, quando buona parte della stessa opposizione – in questo senso mi sento di escludere il citato Calenda – utilizza strumentalmente ogni argomento, senza peraltro avanzare proposte degne di questo nome, per contrastare chi governa, non si rende certamente un buon servizio al sistema democratico. Oltre, naturalmente, candidarsi a restare a tempo indeterminato sui banchi della medesima opposizione.

Aggiornato il 29 luglio 2025 alle ore 10:02