Separazione dei poteri alla milanese

Il diritto è politica, bellezze – per dirla con l’Humphrey Bogart/Ed Hutcheson di quel magnifico film dal titolo L’ultima minaccia – con buona pace delle anime belle che si illudono sia tutta una questione di codici e codicilli.

E la politica, bellezze, si fonda sui rapporti di forza che, sin da quando il bersaglio era la “Milano da bere” di Bettino Craxi sono clamorosamente squilibrati in favore del potere giudiziario. Del resto la politica, con la “pminuscola, come al solito strepita a targhe alterne, ovvero solo quando le indagini riguardano i propri adepti e le proprie scelte legislative, salvo applaudire sino a spellarsi le mani quando la censura togata si abbatte sui propri avversari, senza cogliere che la vera questione è di metodo o meglio, a pensarla gramscianamente, di sistema. A leggere le carte della Procura di Milano sulla vicenda che riguarda anche Beppe Sala (e moltissime se ne leggono e pure stavolta, statene certi, nessuno indagherà su come tali frattaglie di atti giudiziari siano pervenute nelle redazioni dei giornali) al di là della prosa letteraria, in verità avvincente, è facile cogliere una censura che ben più che giudiziaria pare politica, addirittura filosofica. A non piacere alla Procura, pare evidente, è il modello di sviluppo urbanistico milanese, il quale ha preteso di fare propria una interpretazione evolutiva di norme urbanistiche risalenti addirittura agli anni Quaranta del secolo scorso.

Lo scontro in atto è, quindi, tra due prospettive politiche. E si sa, quando lo scontro politico si fa al calor bianco, tutti i colpi sono consentiti, à la guerre comme à la guerre direbbero i cugini dOltralpe. Certo si potrebbe opinare che per scegliere tra diverse prospettive politiche occorrerebbe prima farsi eleggere dai cittadini, ma nella città nella quale un antico sindaco confessava candidamente di sottoporre d’abitudine la lista degli assessori prima della nomina al procuratore della Repubblica, questa riflessione rischia davvero di apparire una ubbia da anime belle. Occorrerebbe, però, ricordarsi che sempre di processi si tratta e, insomma, sia pur vagamente si dovrebbero contestare reati. Nel caso di Milano, al giurista che pur non si atteggi a verginella smarrita, si alza necessariamente il sopracciglio di fronte ad una ricostruzione concettuale del reato di corruzione, per altro da qualcuno preannunciata ai tempi della non gradita abrogazione del reato di abuso dufficio. Nessuna mazzetta, ma pubbliche parcelle professionali, in se più che lecite, tuttavia asseritamente in conflitto di interesse (nella non rimozione del quale starebbe l’atto contrario al dovere d’ufficio).

Vedremo come andrà a finire (senza attendere esiti processuali per i quali si dovranno attendere, more solito, anni, già oggi il sindaco resisterà o getterà la spugna?) e siamo consapevoli che, come ammoniva Alessandro Manzoni, la “ragione e il torto non si dividono mai con un taglio così netto che ogni parte abbia soltanto dell’una o dell’altra”. Ma pure la guerra, sempre parafrasando Humphrey Bogart/Ed Hutcheson, ha le sue regole e tutti dovrebbero rammentarsi che oltrepassarle può, per le succitate questioni di sistema, essere assai pericoloso.

Aggiornato il 21 luglio 2025 alle ore 14:18