
Molti e risalenti sono i mali della scuola italiana. Uno di questi – e non dei meno gravi – lo dobbiamo a Luigi Berlinguer, ministro della Pubblica istruzione alla fine degli anni Novanta. Come è noto, fu proprio lui a inaugurare il nefando regime dei debiti e dei crediti, quale criterio di valutazione dei risultati conseguiti dagli alunni, infettando in tal modo anche l’Università che – attratta irresistibilmente dalla perversione che ne derivava – non mancò subito di conformarsi. In realtà, non si era mai vista una scempiaggine simile, la quale ha esportato nell’universo del sapere e della formazione critica dell’essere umano, un criterio di origine americana e né più né meno che mercantilista e commerciale, creando dal nulla una pletora di studenti debitori e creditori di una scuola più preoccupata di governare in chiave ragioneristica l’indecifrabile mappa delle entrate e delle uscite, che di garantire lo sviluppo dei ragazzi nella pienezza della loro umanità.
Ecco probabilmente il recente peccato originale della scuola italiana e che sta alla base di ciò che accade in questi giorni nel corso di esami di maturità: alcuni ragazzi si sono rifiutati di svolgere la prova orale, adducendo quale giustificazione l’insensibilità della scuola per la loro reale consistenza umana, del tutto ottenebrata da voti e giudizi fatalmente lontani da ciò che effettivamente essi sono: insomma, la maschera del voto destinata a nascondere l’anima autentica dei giovani esaminandi. La protesta dei ragazzi trova nel sistema dei debiti e dei crediti il naturale terreno di coltura che fa da trampolino alle loro rivendicazioni. Sicché, paradossalmente, i ragazzi hanno ragione dal punto di vista formale e giuridico, mentre hanno torto da quello sostanziale; invece, il ministro Giuseppe Valditara, che minaccia la bocciatura per chi si sottragga all’esame orale, ha torto dal punto di vista formale e giuridico, mentre ha ragione da quello sostanziale.
Infatti, proprio per il fatto che i ragazzi avevano già raggiunto il numero dei crediti sufficienti per la promozione, hanno potuto evitare la prova orale che avrebbe migliorato il giudizio ma sarebbe stata superflua per la promozione: questo è giuridicamente inoppugnabile e dà ragione ai ragazzi e torto al ministro. Finché un certo numero di crediti assicurerà la promozione, nessuna bocciatura potrà essere irrogata per non aver voluto sostenere la prova orale. Invece, non è credibile che i ragazzi abbiano rifiutato la prova orale perché non si sono sentiti valutati come persone, ma sono stati visti solo come destinatari di voti: se davvero fosse stato così, essi avrebbero potuto denunciare questa forma di insensibilità durante il percorso scolastico. Invece, nulla di ciò: hanno taciuto per cinque anni e poi, improvvisamente, se ne sono ricordati nel momento della prova orale. Insomma, la denuncia finale non sembra esser stata sostenuta da una consapevolezza duratura nel tempo e manifestata in modo che gli insegnanti potessero interloquire.
Qui si vede come la denuncia di questo male non c’entri nulla con l’esame, mentre c’entra moltissimo – purtroppo – con il desiderio di non sostenere un esame orale che presenta sempre delle naturali incognite ed è comunque impegnativo: meglio evitarlo. Da questo punto di vista ha ragione Valditara e hanno torto i ragazzi. Come fare per assicurare invece che sia i ragazzi che il ministro possano avere entrambi ragione da tutti i punti di vista e non gli uni a esclusione dell’altro e viceversa? Vedo un solo modo, ma temo che Valditara non abbia la forza per metterlo in pratica: abolire definitivamente la valutazione mercantile e ragioneristica di crediti e debiti, tornando alla valutazione interpersonale e tradizionale costituita sulla esperienza, sulla sensibilità, sulla capacita dei docenti di comprendere la maturità di un ragazzo quale essere umano dotato di pensiero e di libertà. Certo, è più difficile e più legato alla tradizione. Ma, come diceva Giuseppe Verdi, “facciamo qualcosa di nuovo, torniamo alle origini”.
Aggiornato il 17 luglio 2025 alle ore 10:11