
Non è mai buona cosa assuefarsi alla realtà della guerra. Ma è ciò che sta accedendo a noi occidentali riguardo alla crisi russo-ucraina. Sembra che, una volta riassegnate le parti in commedia, tutti debbano continuare sine die a recitare lo stesso disperante copione. Donald Trump, che se ne infischia delle sorti di Kiev e vuole un accordo stabile con la Russia di Vladimir Putin; Volodymyr Zelens’kyj, che non smette di chiedere all’Occidente mezzi e denari per difendere a oltranza l’integrità di una nazione che fino all’invasione non era mai stata realmente tale, promettendo ai suoi un’assai improbabile prospettiva di vittoria finale; Vladimir Putin, che procede imperterrito come una macchina schiacciasassi l’azione bellica sul campo, strappando a Kiev, giorno dopo giorno, non chilometri ma metri di suolo ucraino; l’Europa, che è un disco rotto nell’ostinarsi a ripetere che l’unica strada percorribile sia il sostegno illimitato a Zelens’kyj per fermare le mire putiniane sull’intero Vecchio continente. E la Cina? Come le stelle di un romanzo di Archibald J. Cronin, la Cina sta a guardare. E se la gode, valutando che comunque si evolverà il conflitto in Europa per il “Celeste Impero” sarà comunque una soluzione win-win: vince se vince la Russia, vince se prevale l’Europa ai danni di un ridimensionato potere aggressivo di Mosca. Solo in un caso Pechino potrebbe storcere il naso: se, alla fine, a Donald Trump riuscisse davvero di trascinare Putin totalmente dalla sua parte costringendolo a raffreddare i rapporti con l’ingombrante alleato cinese.
Cosa al momento altamente improbabile. Ma c’è anche la regione mediorientale che trae un qualche beneficio dal permanere dello stato di guerra tra Russia e Ucraina. Se oggi la Siria, governata da un terrorista tagliagole ripulitosi di recente, beneficia della decisione statunitense di vedersi revocate le sanzioni commerciali non è forse il frutto del prezzo che la Russia ha dovuto pagare per avere mano libera in Ucraina da un Donald Trump uso ai mercanteggiamenti? E l’Iran messo in ginocchio dall’attacco combinato israeliano-statunitense, non è stato anche quello un costo messo in conto al grande alleato degli ayatollah, Vladimir Putin? Tuttavia, il fatto che il conflitto russo-ucraino si sia spostato su una frequenza d’onda di bassa-media intensità, con il tacito assenso di Washington, non deve farci stare tranquilli. In primo luogo, perché situazioni tanto precarie potrebbero cambiare in negativo molto rapidamente e, a un tratto, potremmo ritrovarci coinvolti tutti in qualcosa di enormemente più grande, e pericoloso, di quanto sia il rischio che corriamo oggi. In secondo luogo, perché è di vite umane di cui parliamo. Da una parte e dall’altra. Di generazioni di giovani che si perdono, inghiottite dall’inesorabile ferocia della macchina bellica. In terzo luogo, perché non è vero che a noi europei – italiani in particolare – la guerra non stia costando, soprattutto in termini economici. Pesa sui bilanci delle famiglie e delle imprese. Strozza le possibilità di espansione globale del nostro apparato produttivo. Tiene tutti noi in un perenne stato di allerta emotivo, che non giova alla qualità della vita. Toglie profondità alla dimensione prospettica delle nostre esistenze, individuali e collettive. Annichilisce ogni entusiasmo per pensare in grande.
Ci costringe a vivere un permanente “giorno della marmotta” nel quale la tranquillità, cercata giorno per giorno, viene quotidianamente rimessa in discussione. In quarto luogo, perché gli arsenali non sono altrettanti pozzi di San Patrizio, con risorse di sistemi d’arma illimitate da gettare nella mischia della guerra d’attrito. A furia di girare all’Ucraina i mezzi e le armi disponibili si corre il serio rischio di restare totalmente scoperti per la nostra difesa. E questo è un danno che non possiamo permetterci. Quando il ministro della Difesa, Guido Crosetto, pure nel suo eloquio felpato, lo scorso novembre, ha riferito una notizia devastante riguardo alla capacità difensiva italiana da attacchi esterni, la politica l’ha fatta scivolare nella totale indifferenza come se la cosa non la riguardasse. Crosetto ha testualmente dichiarato: “Ci siamo resi conto che non eravamo preparati ad affrontare una guerra sul nostro territorio o un attacco perché negli ultimi anni avevamo costruito una difesa, una delle migliori al mondo per le operazioni di pace a livello internazionale, ma ci eravamo dimenticati che qualcuno poteva attaccarci”.
E nessuno ha fatto un plissé su una presa di coscienza della realtà a dir poco allarmante. Alla luce di ciò, sarebbe salutare se l’opinione pubblica cominciasse a porre qualche domanda alla politica per capirne di più dello stato delle cose sul fronte della guerra russo-ucraina. L’assuefazione all’andazzo corrente, alla lunga, si trasforma in una patologia che può costarci cara. Ma da dove cominciare? Innanzitutto, da una sanificatrice operazione verità. Basta propaganda! È giunto il momento che i media si tolgano le magliette delle opposte tifoserie e indossino quella dell’osservazione imparziale dei fatti. Bisogna capire come stiano effettivamente i rapporti di forza sul campo di battaglia. Ora, ci tocca ascoltare il resoconto della cronaca giornaliera che riferisce di attacchi vili dei russi su strutture civili, case abitate da gente inoffensiva, principalmente vecchi e bambini. E la cosa ci fa orrore e ci spinge istintivamente ad avercela con quel gran mascalzone criminale di Vladimir Putin. Poi, però, si sfoglia qualche rivista di settore e si scopre che le cose non stanno propriamente come vengono descritte dai media che fanno propaganda. Per intenderci, riportiamo parzialmente il report aggiornato sugli attacchi dello scorso fine settimana pubblicato da Analisi Difesa: “La notte tra sabato e domenica la Russia ha lanciato l’attacco più massiccio di sempre contro obiettivi militari e infrastrutture industriali ucraine impiegando, secondo fonti militari di Kiev, 477 droni d’attacco Shahed (Geran 2) e 69 missili da crociera e balistici.
Fonti russe riferiscono che l’attacco ha incluso missili da crociera Kh-101/Kh-55 lanciati da bombardieri Tu-95Ms, missili Kalibr lanciati dal Mar Nero, missili ipersonici Kh-47M2 Kinzhal lanciati da velivoli Mig 31, missili balistici 9M723 Iskander-M e nordcoreani i KN-23. Gli attacchi più intensi sono stati registrati a Leopoli e nella regione di Zaporižhia, nella regione di Čerkasy, a Kremenčuk, a Nikolaev e nel Donbass. In diverse aree sono stati rilevati impatti e attacchi alle infrastrutture. A Zaporozhia e Kremenchug, le attività industriali sono state danneggiate e a Čerkasy sono state segnalate tre persone ferite”. Domanda: sta roba qui è vera o è un’invenzione dell’autore del report, Gianandrea Gaiani? Non è questione peregrina, perché se Analisi Difesa dice il vero, Zelens’kyj sta raccontando un mare di balle alla comunità internazionale rappresentando una capacità difensiva ucraina che non esiste. Se è così che stanno le cose sul campo, allora quell’areopago di menti geniali che è l’Unione europea deve precipitosamente cambiare approccio con Mosca. E invece di insistere sull’idiozia dei pacchetti di sanzioni che fanno il solletico alla Russia, decidersi ad affrontare con Putin un negoziato serio sulla fine della guerra, che passerà inevitabilmente per un riconoscimento de facto delle conquiste territoriali strappate dall’esercito russo all’Ucraina e dalla ridefinizione di un’area d’influenza di Mosca, a garanzia del confine occidentale della Federazione russa dalla potenziale minaccia Nato. Al contrario, mettere la testa sotto la sabbia e negare la realtà non cambierà le sorti della guerra: potrà solo peggiorarle per l’Ucraina. Nella nostra personalissima visione del mondo, la guerra resta il principale motore della Storia. Nondimeno, quando il motore si inceppa o rischia di finirti addosso, staccare la spina e fermarlo è la cosa più sensata da fare. Anche se è quella che meno ci piace.
Aggiornato il 03 luglio 2025 alle ore 09:42