Stop al diesel euro 5: ecologia o autoritarismo?

Un provvedimento di quattro Regioni dell’Italia settentrionale che restringe la libertà individuale e penalizza lavoro, mobilità e uguaglianza

Si discute in questi giorni del provvedimento che entrerà in vigore il 1° ottobre 2025, con cui Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna si preparano a vietare la circolazione delle auto diesel Euro 5 nei giorni feriali, dalle 8,30 alle 18,30, nei comuni con più di 30mila abitanti. Secondo la giustificazione ufficiale, il provvedimento dovrebbe migliorare la qualità dell’aria e rispondere agli obblighi assunti a livello europeo. In realtà, dietro questa narrazione ambientale si cela una scelta politica fortemente dirigista, che sacrifica la libertà individuale, trascura le condizioni economiche reali della popolazione e amplia il solco tra cittadini e istituzioni.

Il diritto di ogni persona di scegliere come muoversi è una delle fondamenta di una società libera e prospera. Ogni individuo ha esigenze differenti e valuta le proprie scelte di mobilità in base a disponibilità economica, vincoli familiari, condizioni lavorative. Colpire i proprietari di auto Euro 5 significa penalizzare famiglie, piccoli imprenditori, pendolari che hanno acquistato veicoli legali, ancora efficienti, spesso in base a incentivi pubblici precedenti. È una decisione retroattiva che svuota il concetto di certezza del diritto, mina la fiducia nelle istituzioni e spinge verso un modello in cui l’obbedienza conta più della razionalità o della giustizia.

Non si tratta di negare la rilevanza della qualità dell’aria, bensì di contestare l’approccio centralistico e punitivo con cui la questione viene affrontata. In luogo di soluzioni ispirate alla libertà, alla responsabilità individuale e al progresso tecnologico spontaneo, si opta per un’imposizione generalizzata, che colpisce in modo indiscriminato e socialmente regressivo. Non si tiene conto che chi è più vulnerabile economicamente è anche quello meno in grado di affrontare costi di sostituzione, perdite patrimoniali e disagi logistici. La giustizia ambientale, se volesse essere coerente, dovrebbe partire proprio dal rispetto dell’autonomia individuale.

Secondo stime di settore, il blocco dei diesel Euro 5 provocherà una perdita economica annua di circa 4 miliardi di euro per le quattro Regioni coinvolte. Questa cifra include il crollo dei consumi nei centri urbani, l’aumento dei costi di trasporto e logistica per imprese e lavoratori, la svalutazione del parco auto esistente e il contraccolpo per le attività legate alla manutenzione, ai ricambi e all’indotto.

Il danno è aggravato dal fatto che non vi è alcuna forma di compensazione prevista: il sacrificio è totalmente a carico dei cittadini. In Lombardia saranno coinvolti circa 484mila veicoli, in Veneto 350mila, in Piemonte 250mila, in Emilia-Romagna diverse centinaia di migliaia. Milioni di persone vedranno restringersi il proprio raggio d’azione quotidiano senza alternative reali.

L’effetto sul principio di uguaglianza sostanziale è drammatico: mentre chi può permettersi un’auto elettrica o ibrida recente continua a muoversi liberamente, gli altri subiscono una restrizione della libertà travestita da norma ambientale. Ma la libertà non è un lusso: è condizione della dignità. In un mondo aperto, il miglioramento ambientale deve procedere per consenso, innovazione e incentivi, non per esclusione.

Com’è noto, il provvedimento affonda le sue radici in una sentenza della Corte di Giustizia Ue del 10 novembre 2020 (causa C-644/18), che ha accertato il superamento dei limiti di Pm10 nel Bacino Padano tra il 2008 e il 2017. La Corte ha riconosciuto l’inadempimento dello Stato italiano nell’affrontare efficacemente il problema del Pm10, ma non ha indicato soluzioni vincolanti né individuato nel traffico privato la principale causa dell’inquinamento. A determinare l’inquinamento concorrono anche riscaldamenti domestici obsoleti, impianti industriali e condizioni meteorologiche sfavorevoli. Il provvedimento regionale risulta quindi sbilanciato: se si fosse voluto intervenire in modo proporzionato, sarebbe stata necessaria un’analisi delle priorità, non un attacco simbolico all’automobilista.

A rendere ancor più grave questa sproporzione è il quadro politico e istituzionale in cui si inserisce: le amministrazioni regionali dell’Italia settentrionale, che un tempo apparivano come modello di efficienza e autonomia amministrativa, sembrano oggi rinunciare a ogni capacità di giudizio indipendente, preferendo assecondare la pressione politica e giudiziaria europea con misure esemplari, più punitive che utili. In siffatto contesto, l’apparato pubblico si comporta come se detenesse la verità assoluta, imponendo un’unica strategia uniforme e centralizzata, senza curarsi delle conseguenze sociali che ne derivano. A sua volta, nel clima di obbedienza istituzionale che risulta, viene sacrificato proprio ciò che costituisce la ricchezza di una comunità libera: la fiducia nel cittadino, la varietà delle soluzioni, il pluralismo.

Il trasporto pubblico, che teoricamente dovrebbe offrire un’alternativa, resta in molte zone insufficiente o assente. Le auto elettriche non sono alla portata di tutti e la rete di ricarica non è ancora in grado di sostenere un cambio di massa. Il programma Move-In, che consente la circolazione limitata tramite una soglia chilometrica monitorata da black box, è solo un palliativo: introduce una logica di controllo permanente, burocratizza la libertà e premia l’adattamento al sistema, non l’ingegno individuale. È l’ennesima conferma che lo Stato, incapace di creare fiducia, preferisce misurare, limitare, sorvegliare.

Se non revocato, il provvedimento segnerà un nuovo passo verso una società in cui il cittadino è subordinato a obiettivi collettivi decisi da tecnocrati e burocrati. Il mezzo di trasporto, simbolo di autonomia, diventa un privilegio riservato a chi si conforma. Senza libertà, è però chiaro, non esiste responsabilità. E senza responsabilità, nessuna politica ambientale sarà mai sostenibile.

Solo restituendo all’individuo la libertà di scegliere, innovare e migliorare si può davvero coniugare progresso e tutela dell’ambiente. Tutto il resto è coercizione mascherata da virtù.

Aggiornato il 12 giugno 2025 alle ore 09:28