
Mamma che botta! La gioiosa macchina da guerra del campo progressista ha rimediato, nelle urne referendarie, una tranvata mica da poco. Il voto di domenica e lunedì avrebbe dovuto sancire la spallata definitiva al Governo Meloni, invece è finita con tutti i leader dell’allegra compagnia del centrosinistra ricoverati in traumatologia. Se la sono cercata. In preda a un’allucinazione collettiva – insufflata dall’ambizione del segretario federale della Cgil Maurizio Landini, primo fautore della sfida referendaria, di assumere la leadership dei progressisti una volta appesa al chiodo la divisa da capobastone del sindacato “rosso” – si sono illusi di ripetere il meccanismo (perverso) che portò alla fine prematura dell’esperienza di Matteo Renzi a Palazzo Chigi, il 12 dicembre 2016. Anche allora di mezzo c’era un referendum. E anche allora le forze che si opponevano al Governo fecero di tutto per politicizzare l’appuntamento referendario, trasformandolo in un plebiscito su Renzi sì-Renzi no. Ma gli stolti hanno mancato di valutare che i tempi cambiano e che la storia non si ripete mai uguale a sé stessa.
Posto che della materia sottoposta al giudizio popolare non fregava niente a nessuno – con l’eccezione del quinto quesito sulla cittadinanza agli stranieri, del quale torneremo a parlare – tutto il can-can propagandistico montato dalla sinistra aveva come unico obiettivo reale quello di convertire il sì all’abrogazione di norme di dettaglio sulla legislazione del lavoro in un avviso di sfratto al centrodestra. Obiettivo fallito. Perché per il 29,89 per cento (Italia+estero) degli aventi diritto (elettori: 51.301.377) che ha votato, c’è stato un 70,11 per cento che non è cascato nella trappola tesagli da quei geni del progressismo: la mitica maggioranza silenziosa questa volta si è fatta sentire. E fragorosamente. Si è tenuta lontana dai seggi per non prestarsi a fraudolente strumentalizzazioni. Vittime del delirio da shock post-traumatico, i leader del quasi campo largo si sono abbandonati alle più spericolate arrampicate sugli specchi pur di attenuare gli effetti del colpo subito.
Hanno sproloquiato di una mezza vittoria per il fatto che 12 milioni e passa di italiani hanno vergato il sì sulle schede referendarie e, nell’astrusa aritmetica elettorale dei capi progressisti, una tale massa di voti sarebbe superiore a quella ricevuta nel 2022 dalla coalizione del centrodestra. Cosicché, in forza di un bizzarro sillogismo, hanno dedotto quanto segue: più elettori di quanti in passato abbiano dato il consenso al centrodestra hanno disatteso l’indicazione fornita dall’odierna maggioranza sui quesiti referendari ergo, il centrodestra non ha più la legittimazione sostanziale a governare. Aristotele si starà rivoltando nella tomba a sentire una tale castroneria. La coalizione guidata da Giorgia Meloni, alle politiche del 2022, raccolse all’uninominale per la Camera dei deputati 12.305.014 preferenze nella sola area Italia – dal conteggio sono esclusi i voti della Valle d’Aosta e delle circoscrizioni estere che, invece, sono considerati nel conteggio dei voti referendari – quindi, prima balla: non c’è nessuna maggioranza nelle urne che abbia votato per mandare a casa la Meloni. Vieppiù, come avrebbe mai potuto essere credibile, ai fini di un giudizio sul Governo in carica, un referendum abrogativo di norme sul lavoro che sono state introdotte da Governi di centrosinistra? Li avete letti i testi dei quesiti proposti? Roba da matti.
Primo quesito: “Volete voi l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23…(omissis)… recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” nella sua interezza?”. Secondo quesito: “Volete voi l’abrogazione dell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, recante “Norme sui licenziamenti individuali”, come sostituito dall’art. 2, comma 3, della legge 11 maggio 1990, n. 108, limitatamente alle parole…(omissis)”. Terzo quesito: “Volete voi che sia abrogato il d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, avente ad oggetto “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183” limitatamente alle seguenti parti …(omissis)”. Quarto quesito: “Volete voi l’abrogazione dell’art. 26, comma 4, in tema di “Obblighi connessi ai contratti d’appalto o d’opera o di somministrazione” di cui al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, recante “Attuazione dell’articolo 1 della , legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” come modificato dall’art. 16 del decreto legislativo 3 agosto 2009, n. 106, dall’art. 32 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modifiche dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, nonché dall’art. 13 del decreto legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito con modifiche dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215, limitatamente alle parole…(omissis)”.
Ma che roba è? Quale legge bandiera del centrodestra si sarebbe voluto silurare se tutto era farina del sacco progressista? I promotori avrebbero fatto migliore figura se avessero ammesso che quella chiamata alle urne sarebbe potuta avvenire sulla qualunque perché l’unico, vero, obiettivo sarebbe stato un voto di sfiducia alla Meloni. Allora perché non essere più chiari, e magari ironici, proponendo un referendum del tipo: “può Giorgia Meloni indossare un bikini quando va in spiaggia?”. E chiamare a raccolta il popolo per dire un grande no alla tintarella della presidente del Consiglio. Ma anche altre domande sarebbero state funzionali allo scopo perseguito. “Può Giorgia Meloni andare a cena con Matteo Salvini senza che la fidanzata di quest’ultimo ne sia informata?” E poi, questi millantatori di credito politico osano parlare di crisi della democrazia perché il popolo li ha snobbati? Ci vuole una bella faccia tosta nel prendersela con l’uva se non si è stati capaci di vendemmiare.
Comunque, la sconfitta non si è palesata solo nel dato del non-voto. C’è stata una disfatta della sinistra che è venuta direttamente da quelle urne che avrebbero dovuto esserle amiche. Approfondiamo ciò che è successo con il quinto quesito referendario sull’accorciamento dei tempi di concessione della cittadinanza agli stranieri. In effetti, si è trattato di un clamoroso autogol della sinistra visto che, tra i votanti, la percentuale dei “No” è stata del 34,66 per cento contro il 65,34 per cento dei “Sì”. Ora, se si assume che la stragrande maggioranza dei cittadini che si sono recati alle urne lo abbia fatto perché in sintonia con il campo progressista, quei 5.172.084 di italiani che hanno detto no a corsie preferenziali per ridurre i tempi di concessione della cittadinanza agli stranieri hanno assestato un micidiale calcio negli stinchi alla sinistra, all’ideologia progressista e alla filosofia delle porte aperte a tutti i costi. Questo voto racconta di un’élite progressista totalmente scollata dai bisogni e dal sentire del suo stesso popolo. Per dirla con una battuta: su quel grumo malsano di politica, magistratura, associazionismo, clero, coagulatosi in nome della santa causa dell’accoglienza dei clandestini, ha potuto più il 34,66 per cento che la bomba atomica.
Acquisito il risultato referendario, il centrodestra adesso la smetta di sonnecchiare sull’amaca appesa alla pianta d’alloro e si rimbocchi le maniche per dare un’accelerata all’azione di governo. Abbiamo dovuto attendere quasi tre anni per vedere approvato un provvedimento legislativo nitidamente di destra. Parliamo della conversione in legge del Decreto Sicurezza. Bene, ma è ancora poco per poter rendicontare, a fine legislatura, un’effettiva inversione d’orizzonte rispetto ai decenni di gestione paludosa del Paese con i governi di sinistra, dichiarati o camuffati sotto le più fantasiose fogge istituzionali. D’altro canto, è pur vero che, come sentenziava Eduardo De Filippo, gli esami non finiscono mai. E, per il centrodestra, di esame se ne prepara uno bello tosto il prossimo autunno: le elezioni regionali. Si voterà in Veneto, Valle d’Aosta, Toscana, Marche, Campania e Puglia e per il centrodestra non sarà una passeggiata di salute. Cari Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani, non sarebbe il caso di serrare i ranghi e di piantarla con i reciproci sgambetti e con i “distinguo” politicisti del piffero?
Aggiornato il 12 giugno 2025 alle ore 09:34