Il flop era scritto nei contenuti del referendum

Non c’è molto da dire, come ampiamente previsto i cinque referendum del campo largo, esteso alla componente più radicale del sindacato, hanno fatto flop. In tal senso, mi sento di condividere appieno il giudizio dell’ottimo Roberto Arditti, sempre prodigo di analisi tanto concise quanto estremamente efficaci. Queste le sue parole espresse a poche ore dalla chiusura dei seggi, nel corso di Omnibus, in onda tutte la mattine su La7: “Se proponi dei referendum che per capirne davvero il contenuto devi essere almeno professore associato di diritto del lavoro, allora poi è certo che la gente non capisce e – conseguentemente aggiungo io – non va a votare”. Ed è esattamente ciò che è successo, dove l’unico quesito chiaro era quello relativo alla cittadinanza, con il quale si propone di ridurre da 10 a 5 anni il periodo minimo di residenza legale continuativa richiesto per uno straniero che chiede la cittadinanza per naturalizzazione, mantenendo tutti gli altri requisiti (lingua, reddito, assenza di condanne).

Ma per il resto, nella complessa normativa che regola il mondo del lavoro lo sforzo richiesto agli italiani è simile al tentativo di decifrare la famosa stele di Rosetta. Insomma un vero e proprio geroglifico pieno zeppo di leggi, leggine e cavilli che persino gli addetti ai lavori faticano quotidianamente a districarsi. In realtà, la messa in piedi di questa bislacca operazione referendaria pare che abbia avuto ben altro obiettivo rispetto a quello dichiarato di migliorare la condizione dei cosiddetti salariati. Obiettivo chiaramente finalizzato a dare una sorta di spallata politica all’attuale maggioranza di Governo, dimostrando al Paese che l’opposizione rappresentata dal succitato campo largo è viva e lotta insieme a noi.

D’altro canto, dando per scontato che Elly Schlein, Giuseppe Conte, Maurizio Landini & company dichiareranno di aver politicamente vinto, avendo imboccato da tempo e senza apparenti ripensamenti la strada del massimalismo, ad uscirne ancora una volta con le ossa rotte è il Partito democratico. Un partito che sta abbandonando da tempo ogni residuo di riformismo, per seguire le antiche utopie radicali che, durante l’intera Prima Repubblica, lo hanno irrimediabilmente relegato all’opposizione. Evidentemente ai suoi attuali dirigenti la storia, notoriamente maestra di vita, sembra aver insegnato poco o nulla.

Aggiornato il 10 giugno 2025 alle ore 09:32