Apologia dei blocchi stradali

Mercoledì scorso abbiamo assistito, durante i lavori del Senato, all’ennesima pagliacciata parlamentare della componente più radicale dell’opposizione di sinistra. Al grido “vergogna, vergogna”, un nutrito gruppo di senatori del Partito democratico, di Alleanza Verdi e Sinistra e del Movimento 5 stelle si sono seduti per terra di fronte ai banchi del Governo, in segno di protesta nei riguardi del cosiddetto Decreto sicurezza. Ciò con particolare riferimento ad alcuni nuovi reati previsti del decreto, come in alcuni casi di rivolte nelle carceri, di atteggiamenti di resistenza passiva e quello ben poco popolare, soprattutto per chi viaggia in treno o in macchina, di blocco stradale o ferroviario.

Ora, prescindendo dall’andazzo urlato e barricadero che sta sempre più caratterizzando la stessa opposizione radicale in Parlamento, in cui sembra che la rissa sia diventato il suo metodo privilegiato di “discussione” nel luogo della massima rappresentanza democratica, sul tema dei citati blocchi stradali e ferroviari, al pari di altre iniziative di protesta che ledono i diritti altrui, non credo si possa parlare di una legittima e costituzionale facoltà di esprimere in modo pacifico e non violento un dissenso o una protesta. In realtà, per dirla con una pillola, spero di saggezza, si può tranquillamente sostenere che una medesima espressione di protesta o di dissenso sia pacifica e non violenta solo quando non viola  intenzionalmente il diritto di altri cittadini, impedendo loro di, ad esempio, recarsi in orario al lavoro o di eseguire una propria consegna nei tempi previsti. In questo caso la presunta, pacifica e non violenta protesta si manifesta in una vera e propria forma di sopraffazione nei riguardi dell’ignaro automobilista, trasportatore o viaggiatore che dir si voglia.

Tutto questo, poi, senza considerare gli eventuali rischi alla pubblica incolumità, compresa quella degli autori di simili manifestazione di protesta, che queste forme incivili di dissenso evidentemente comportano. Come diceva il grande e troppo spesso citato a capocchia Immanuel Kant, “la mia libertà finisce dove comincia quella degli altri”. Ebbene, sarebbe veramente il caso che questi sinistri sostenitori dei diritti a corrente alternata rifacessero un corposo ripasso di storia della filosofia; male non farebbe loro.

Aggiornato il 06 giugno 2025 alle ore 11:07