La protezione della democrazia liberale è un rompicapo

La “questione della tolleranza” verso i partiti che tendono e tentano di limitare e sopprimere la democrazia liberale che contraddistingue le nazioni dell’Occidente politico, ben più esteso dell’Occidente geografico, riguarda soltanto gli Stati con una Costituzione che garantisce le libertà fondamentali. In altre parole, la democrazia liberale propriamente detta poggia su diritti e poteri reciprocamente contemperati, “arbitrati” da un giudice indipendente. L’uguaglianza legale è la base giuridica della tolleranza. I Greci adoperavano una sola parola, isonomia, che aveva tre significati coessenziali: stessa legge, stessa giustizia, stessa uguaglianza. Non viene mai sottolineato abbastanza che l’isonomia ha preceduto e generato la democrazia, non viceversa. Infatti, ancora oggi, tanto la democrazia come metodo di governo quanto il sistema politico come assetto della società, senza l’isonomia, sono la maschera dell’illiberalismo.

La “questione della tolleranza” s’impone con riguardo ai limiti. La tolleranza assoluta comporta effetti negativi e anche distruttivi della libertà e della democrazia. Nelle parole inequivocabili di Karl Popper: “La tolleranza illimitata porta inevitabilmente alla scomparsa della tolleranza stessa. Infatti, se si manifesta tolleranza nei confronti di chi pratica l’intolleranza, se cioè non si è disposti a difendere la società della tolleranza contro gli assalti degli intolleranti, allora i sostenitori della tolleranza verranno annientati e con loro la tolleranza. In nome della tolleranza dovremmo allora rivendicare il diritto di non tollerare l’intolleranza”. È indispensabile rimarcare che le parole di Popper non sono una profezia, bensì la fotografia di un passato comune a grandi e piccole nazioni, nonché un imprescindibile monito per l’avvenire. Generalmente parlando, la sinistra tende a disconoscere il diritto di non tollerare l’intolleranza, mentre la destra tende a considerarlo alla stregua di una costrizione. Sono interpretazioni parimenti grossolane e imprecise.

Le ultime vicende in Europa (un partito tedesco dichiarato “estremista” dall’Ufficio per la protezione della Costituzione e l’annullamento del voto a un candidato alla presidenza della Romania) stanno lì a dimostrare che il monito di Popper è strettamente attuale. La “questione della tolleranza”, che fu cruciale nel primo dopoguerra con l’affermazione del fascismo e del nazismo, torna a divaricare il comune sentire politico che sembrava attestato sull’accettazione generalizzata della democrazia liberale. Che fare quando persone e partiti agiscono per conculcare la libertà e abolire la democrazia? Due sono, nella sostanza, le tesi che si fronteggiano sul quid agendum. In soldoni: la forza oppure la convinzione. Purtroppo, l’alternativa non è così semplice. Anzi, è terribilmente complessa. In politica la prudenza e la pazienza sono indispensabili, se non altro perché i fenomeni sociali non risultano facilmente decifrabili all’inizio. Infatti, “comincian piccioli”, diceva Francesco Guicciardini. Prevederne gli sviluppi riesce soltanto a chi possieda il dono della preveggenza. Ecco perché il pericolo deve essere dedotto dalle avvisaglie. Generalizzare non solo è sbagliato ma pure pericoloso.

La storia è piena di fatti che il “senno di poi” ha dimostrato esiziali per i sistemi liberaldemocratici. Gli storici hanno mostrato che il fascismo e il nazismo potevano essere fermati. Già, ma da chi e come? Per rispondere bisogna ricorrere alla storia fatta con i “se”, che, ciò nondimeno, può servire come paradigma logico e guida per l’azione.

Quando il tentativo di sovvertire l’ordine costituzionale è conclamato, il leader è riconosciuto, la minoranza è esigua, adoperare la forza legale, magari con leggi repressive più dure dell’ordinario, in genere risolve il problema. Ma quando il movimento alternativo ha assunto la consistenza di un partito organizzato, in ogni senso, con un massiccio séguito nell’opinione pubblica e una messe di voti nelle urne, l’azione legale, pur doverosa, finisce per apparire aleatoria oltre che attizzare lo scontro anziché sopirlo. Inoltre diventa molto probabile che il “partito estremista” moltiplichi deliberatamente le idee e le azioni di stampo viepiù eversivo e ponga in atto lo “Stratagemma di Satana” con il quale gli estremisti, inducendo l’establishment a fomentare l’intolleranza del sistema e la radicalizzazione dello scontro, le volgono a loro vantaggio e conseguono addirittura il successo.

All’estremo, la protezione della democrazia liberale è un rompicapo perché compromette il principio di contraddizione. Infatti, quando sorge e avanza il partito che nega il “governo rappresentativo” può diventare indispensabile “sfigurare”, poco o molto, vuoi la democrazia vuoi la libertà per preservare l’una e l’altra. Siamo al paradosso della “società aperta”. Il “partito eversivo” adopera fraudolentemente il diritto e il voto istituiti proprio per salvaguardare la convivenza civile dalla sopraffazione e dalla sovversione, e se ne serve per abolirli. Contro tutto ciò bisogna adoperare la convinzione e la politica finché possibile. Quando risultassero inutili, non prima, si porrebbe purtroppo drammaticamente la “questione della tolleranza”. In realtà, sebbene le Costituzioni, gli ordinamenti, possano prevedere e regolamentare le “emergenze democratiche”, resta il fatto che un invalicabile muro giuridico contro l’illiberalismo è irrealizzabile, perché le minacce possibili sono infinite e, verificandosi le impreviste, facilmente possono trasmutare da questioni di diritto a questioni di forza.

In fondo, come scrisse Salvatore Satta nel De profundis (il potente capolavoro sulle ragioni nascoste del ventennio fascista): “Non è vera libertà quella che pone le condizioni e contiene in sé i germi della futura schiavitù”.

Aggiornato il 23 maggio 2025 alle ore 09:30