
Viviamo tempi bui. Quando ciò accade, a ciascun individuo – come a ogni comunità statuale – non resta che una sola alternativa praticabile: restarsene rintanato in casa, sperando che il buio scompaia com’è apparso oppure uscire allo scoperto e sfidare le tenebre, perché non prevalgano consegnandolo a un futuro di angoscia e di paura. L’Italia, e tutti noi con lei, ci troviamo esattamente nel punto cieco della notte e dobbiamo decidere cosa fare: nasconderci o reagire. Tuttavia, siamo in una democrazia parlamentare, non plebiscitaria. Per noi decidono i governanti che abbiamo eletto a guidare la Nazione. E allora, che lo facciano! Senza lasciarsi prendere dalla paura delle scelte impopolari che non fanno audience presso l’opinione pubblica ma sono quelle più giuste da assumere. La prudenza per un politico è una virtù cardinale, ma non assoluta e totalizzante. Talvolta, essere prudenti nasconde una condizione d’incertezza e di mancata chiarezza di idee che, per chi aspira a essere ricordato nei libri di storia come apprezzato statista, non è propriamente un buon biglietto da visita.
Giorgia Meloni finora ha fatto bene in politica estera. Purtroppo, però, le cose nel mondo si stanno muovendo in fretta e l’eccessiva cautela nel prendere decisioni epocali, anche drammatiche, potrebbe alla lunga rivelarsi una strategia perdente. Lo scoglio sul quale oggi l’Occidente rischia di andare a infrangersi è il capitolo della difesa. Dopo decenni di inerzia diffusa, l’americano Donald Trump ha terremotato le cancellerie dei Paesi alleati nell’ambito Nato, annunciando che per il futuro gli Usa non avrebbero più garantito la difesa degli Stati amici se questi non avessero contribuito in modo sostanzioso alle spese per sostenere il costosissimo apparato militare transatlantico. Trump ha detto chiaro e tondo che l’obiettivo di budget avrebbe dovuto essere, per tutti gli alleati, pari al 5 per cento del Pil di ciascun Stato membro dell’Alleanza. Se dovesse essere confermato un tale target finanziario, per l’Italia sarebbe una tragedia. Già giungere nel 2025 a coprire il 2 per cento del Pil per il capitolo di spesa della difesa sarebbe una sorta d’impresa epica. Per intenderci: con un Pil attestatosi nel 2024 a 2.192,2 miliardi di euro, il 2 per cento significa destinare alla difesa circa 44 miliardi di euro. Una proiezione sull’ipotesi estrema al 5 per cento farebbe lievitare l’impegno economico a circa 110 miliardi di euro. Impossibile per lo stato dei nostri conti pubblici.
Intanto il problema c’è, come se ne esce? Di certo, esercitando la massima pressione negoziale per giungere a contenere la proposta di aumento esponenziale della spesa, che non è solo di Trump ma lo è anche del segretario generale della Nato, Mark Rutte, e di alcuni Stati dell’Est europeo i quali, terrorizzati dalla possibilità di essere aggrediti dal gigante russo, sono entusiasti all’idea di ottenere dai Paesi alleati un così gigantesco investimento in armi. Ma se il negoziato per un accordo in ambito Nato è la strada maestra, non è purtuttavia l’unica. Soprattutto per l’Italia, che è chiamata a un inevitabile quanto necessario cambio di paradigma nell’approccio alle politiche della difesa. Il rischio per il Governo Meloni è dato dall’impossibilità a stare al passo con i Paesi che hanno maggiori capacità di spesa e ciò potrebbe condannare l’Italia all’irrilevanza strategica. Vi sono segnali molto preoccupanti in tal senso. Proviamo a metterli in fila.
Primo. Un debolissimo in patria Emmanuel Macron ha trovato il modo di conquistare l’egemonia nel controllo della difesa comune europea mettendo in campo l’arsenale nucleare francese per difendere gli Stati dell’Unione europea. Sembrerebbe un’offerta generosa, quindi una buona cosa. Ma non lo è. Vale per Macron ciò che Virgilio diceva dei greci: Timeo Danaos et dona ferentes (temo i Danai – i greci – anche quando recano doni). Dietro tanta disponibilità si cela l’ambizione del piccolo Napoleone di concentrare il potere delle forze armate europee nelle sue mani. L’attivismo bellicoso mostrato in queste settimane contro Mosca in velleitaria difesa di un sempre più frastornato leader ucraino Volodymyr Zelens’kyj, lo dimostra. La domanda sulla quale riflettere è: vogliamo morire sudditi del piccolo francese, quando abbiamo fatto di tutto, dalla fine del conflitto mondiale, per non essere la 51esima stella sulla bandiera Usa?
Secondo. Il neo cancelliere tedesco Friedrich Merz ha dichiarato che vorrà realizzare l’esercito convenzionale più forte d’Europa. Parole nette, pronunciate davanti al Bundestag nel suo primo discorso da cancelliere: “Rafforzare la Bundeswehr (le forze armate della Repubblica federale di Germania, ndr.) è la nostra massima priorità, è ciò che il Paese più popoloso e potente d’Europa si aspetta. Anche i nostri amici e partner se lo aspettano da noi. Anzi, lo pretendono praticamente”. In verità, un tedesco che parla di riarmarsi fino ai denti, un brivido ce lo fa correre lungo la schiena. Il tratto militarista iscritto nel Dna del popolo tedesco non è una nostra invenzione. Come sapientemente suggerisce Maurizio Boni dalle pagine di Analisi Difesa on line, sull’argomento non sarebbe una cattiva idea rileggere la trilogia I Militari e la Politica nella Germania Moderna dallo storiografo tedesco Gerhard Ritter, pubblicata in Germania nel 1954 e in Italia nel 1967.
Terzo. È di questi giorni la rivelazione del noto quotidiano tedesco Die Welt secondo cui, nel patto per la formazione della Große Koalition, che ha permesso la nascita del Governo Merz, l’Italia sarebbe stata esclusa dall’elenco degli alleati strategici della Germania su esplicita richiesta dei socialisti della Spd. Un atto politico gravissimo, che non ha precedenti nella storia delle relazioni italo-tedesche dalla fine della Seconda guerra mondiale, e un fattore altamente destabilizzante dei faticosi equilibri all’interno dell’Unione europea. Quarto. Nel corso dell’incontro alla Casa Bianca, lo scorso 17 aprile, del nostro premier con il presidente Trump, è stato affrontato il tema della collaborazione italo-statunitense sul fronte dello sviluppo dell’energia nucleare. Secondo le stime della Trade Administration, agenzia governativa statunitense del Dipartimento del Commercio, “Contatti con gli operatori del settore locali e con aziende statunitensi indicano che l’energia nucleare è un mercato in potenziale crescita in Italia”. Cioè, si può lavorare insieme per dare al nucleare un conveniente sbocco di mercato anche in Italia.
Ora, se mettiamo in fila tutti gli elementi evidenziati, non possiamo trarre che un’unica conclusione realistica riguardo alla salvaguardia del protagonismo italiano sullo scacchiere internazionale. Per metterci al riparo dalle pretese egemoniche odierne del francese e da quelle che non tarderanno a venire del tedesco, il nostro Paese deve dotarsi dell’arma atomica a scopo di deterrenza. Ecco il cambio di paradigma che occorre: entrare nell’esclusivo club planetario degli Stati che possiedono l’arma nucleare. Serve fare un tale passo anche alla luce della sempre più elevata probabilità che altre Nazioni del contesto europeo, più piccole e più fragili del nostro Paese – pensiamo alla Polonia – faranno la scelta di rendersi autonomi nella deterrenza nucleare, con l’eventuale subordinata di condividere in ambito Ue il potenziale atomico prodotto a patto, però, di essere associati ai massimi vertici strategici decisionali. Potremmo mai, come italiani, restarne fuori aspettando di prendere ordini da francesi, tedeschi e polacchi? Una dotazione di armi tattiche, peraltro già presenti sul nostro territorio in quota Usa, potrebbe essere gestita in collaborazione con gli Stati Uniti, sul modello britannico.
La Gran Bretagna, infatti, si affida a Washington per la gestione delle infrastrutture di supporto e per la manutenzione dell’arsenale nucleare. Una cosa è certa: se la presidente Ursula von der Leyen pensa a una deterrenza nucleare autonoma dell’Unione europea, l’Italia, terza potenza economica dell’Unione e seconda manifattura, non può restarne fuori. La diciamo alla maniera dell’Enrico Ruggeri di Mare d’Inverno: una tale prospettiva è un concetto che il pensiero non considera. Perciò, il centrodestra non abbia paura di fare la cosa giusta. Nucleare civile e militare, se non subito al più presto. Senza indugio, per non restare indietro. Senza il più lieve timore per una scelta impopolare che è tale soltanto agli occhi di chi si ostina a guardare la realtà con le lenti distorcenti del pacifismo nocivo.
Aggiornato il 19 maggio 2025 alle ore 11:24