Cattolicesimo tra ortodossia e progressismo

“Se al progresso tecnico non corrisponde un progresso nella formazione etica dell’uomo, nella crescita dell’uomo interiore allora esso non è un progresso, ma una minaccia per l’uomo e per il mondo”. Così Benedetto XVI ha chiarito nella sua enciclica Spe salvi del 2007. Dall’insegnamento di Papa Joseph Ratzinger si possono ricavare alcune considerazioni. In primo luogo: il progresso tecnico non soltanto non è eticamente neutrale, ma per di più non può essere considerato fine a se stesso passando dall’essere un mezzo all’essere un fine. In secondo luogo: l’evoluzione della conoscenza tecnica – che per sua natura è sempre di ordine meramente quantitativo – non può ritenersi svincolata dal resto del contesto umano e non può quindi sostituirsi alle risultanze di ordine morale – che per loro natura sono sempre di ordine qualitativo – come la capacità di distinguere ciò che è bene in sé e ciò che non lo è. In terzo luogo: il progresso non può essere concepito nel modo parziale e riduttivo con cui comunemente lo si intende, poiché non si può progredire realmente solo da un punto di vista strettamente tecnologico senza un corrispondente progresso di ordine morale, così da poter ritenere che non si può pensare l’uomo progressista senza un progresso realmente umano.

Da questi spunti di riflessione desumibili dall’insegnamento di Benedetto XVI si possono sviluppare ulteriori pensieri. Il mondo cattolico, soprattutto quello più recente degli ultimi due o tre decenni, si è sempre più distaccato dai paradigmi di vita etica e spirituale del Cattolicesimo tentando per un verso di ignorare del tutto gli insegnamenti della Chiesa, e, per altro verso, di fondere i principi costitutivi del Cattolicesimo con quelli del pensiero mondano in genere e di quello progressista in particolare. Se Sant’Agostino ha più volte indicato la via da seguire per intraprendere autenticamente la Sequela Christi, il mondo cattolico degli ultimi anni sembra aver imboccato il sentiero opposto, preferendo, in sostanza, quella Aversio a Deo et conversio ad creaturas tanto giustamente biasimata dall’Ipponate.

L’idea così ampiamente diffusa tra i cattolici che possa e anzi debba esistere un Cattolicesimo progressista che progredisca adeguandosi e piegandosi alle visioni e ai desideri e alle esigenze del mondo secolare costituisce il più profondo e all’un tempo subdolo tradimento del cuore della dottrina cattolica, della natura e dello scopo della Chiesa, e, in definitiva, dello stesso messaggio evangelico. Il continuo e inarrestabile adeguamento dei principi del Cattolicesimo, soprattutto quelli di ordine etico, alle richieste del mondo contemporaneo, che da parte dei cattolici progressisti si esige senza alcuna riflessione sulle conseguenze di una simile operazione, comporta non tanto l’annacquamento dell’ortodossia cattolica, quanto piuttosto la negazione frontale e diretta di quella verità necessaria per la salvezza delle anime di cui il Cattolicesimo e la Chiesa si propongono depositari. Non essendo il Cattolicesimo una dottrina politica e non essendo la Chiesa un partito, un movimento o un sindacato, pretendere che siano essi a doversi adeguare al mondo, invece di seguire la naturale vocazione – in senso letterale – per cui è il mondo chiamato ad adeguarsi ad essi, significa ribaltare diabolicamente la realtà e il senso delle cose più sante e più sacre, per di più senza comprendere che proprio per questo bisognerebbe sforzarsi di convertire i cattolici alle virtù del Cattolicesimo, invece di tentare di convertire il Cattolicesimo ai vizi dei cattolici.

Occorre, dunque, rimettere in asse l’ordine delle cose e del pensiero. Si deve recuperare la consapevolezza per cui non soltanto il Cattolicesimo rappresenta il vero progresso, ma anche e soprattutto quella per cui non ci può essere autentico progresso senza o contro il Cattolicesimo medesimo e ciò per almeno tre motivi principali. In primo luogo: non è l’uomo fatto per salvare il Cattolicesimo da se stesso, ma è il Cattolicesimo istituito per la salvezza dell’uomo; per cui deve essere quest’ultimo ad adottare le prescrizioni salvifiche della Chiesa e non deve essere la Chiesa ad adeguarsi alle pretese spesso infantili dell’uomo. In secondo luogo: l’irruzione del messaggio evangelico nella storia attraverso l’incarnazione di Dio ha colmato la gran parte di quella distanza abissale introdotta dal peccato originale tra il Creatore e la creatura, per cui è quest’ultima che – sperimentando tutta la concretezza della tragicità della propria costitutiva e originaria libertà – deve compiere i pochi, seppur faticosi, passi nella direzione della Chiesa e del Cattolicesimo per abbracciare pienamente il messaggio di salvezza di cui essi sono custodi. Non è la Chiesa, quindi, che si deve redimere tramite l’aiuto dell’uomo, ma è l’uomo che deve essere redento dalla missione della Chiesa.

In terzo luogo: il Cattolicesimo costituisce il progresso che non può più progredire innanzi, poiché con la liberazione proposta dalla rivelazione cristiana l’uomo ottiene la garanzia della salvezza oltre la sua stessa vita, cioè la sicurezza che l’ultimo passo compiuto nell’al di qua attraverso la morte rappresenta il primo passo compiuto nell’al di là attraverso la vita eterna, e che la separazione originaria introdotta dal peccato originale viene sanata con il ricongiungimento finale della creatura al suo Creatore, senza ulteriori possibili sviluppi perché in questo consiste lo sviluppo ultimo, il passo definitivo, il progresso sostanziale oltre il quale, appunto, non è più possibile progredire. In questo senso il progressismo rappresenta il falso culto del mondo per il nuovo che sostituisce Dio, mentre il Cattolicesimo costituisce il culto nuovo per il vero Dio che trascende il mondo; il progressismo è soltanto il fantasma del mondo che ama e adora se stesso, mentre il Cattolicesimo incarna Usque ad effusionem sanguinis l’amore e il sacrificio del Dio vivente per la propria creatura; il progressismo imprigiona l’umanità in se stessa con una illusoria promessa di salvezza all’interno della storia, mentre il Cattolicesimo libera l’umanità dalla gabbia del tempo attraverso la certezza della salvezza che si compie oltre la storia. Il Cattolicesimo autentico, in conclusione, non può essere né confuso, né frammisto, né ridotto alle pretese – anche le migliori – del progressismo, poiché il divario siderale che li separa si misura sul grado di quella irriducibile consapevolezza per cui il cattolico, con la sua libertà e la sua razionalità, deve professare, per essere fedele a se stesso e a Dio, non l’idolatria proteiforme del progresso, ma il culto eterno della verità.

Aggiornato il 16 maggio 2025 alle ore 11:02