Francia e Germania: ci risiamo!

In Germania, habemus premier. Nasce un po’ ammaccato, forse azzoppato ma, comunque sia, Friedrich

Friedrich Merz, presidente dell’Unione Cristiano-Democratica di Germania (Cdu), è riuscito a ottenere al secondo tentativo la fiducia per il suo Governo di Große koalition con i socialisti del Partito Socialdemocratico di Germania (Spd). Non un risultato esaltante, visto che alla prima votazione al Bundestag è stato impallinato da 18 franchi tiratori, probabilmente appartenenti al suo partito e scontenti della configurazione del quadro politico che si è delineato dopo il voto dello scorso 23 febbraio. Non era mai accaduto prima nella storia della Germania dal dopoguerra che un Governo non ottenesse la fiducia della maggioranza dei parlamentari alla prima votazione. Ma poco importa, conta l’esito finale. Il resto, cioè se Merz sia destinato o meno a ricevere altri siluri in seguito che ne minino l’azione di governo, lo si scoprirà vivendo.

Intanto, come primo gesto da Cancelliere, Merz ha ritenuto opportuno volare a Parigi e poi a Varsavia mostrando l’intenzione di riattivare quel “triangolo di Weimar”, nato nel 1991 all’indomani del crollo dell’Unione sovietica per rafforzare la cooperazione geo-strategica tra i due Paesi forti dell’Unione europea e il primo Paese dell’ex Patto di Varsavia sfuggito alle grinfie di Mosca. Intesa, però, finita in cantina a metà del secondo decennio del nuovo secolo. Il fatto che Merz l’abbia voluta ripescare è certamente un segnale politico rilevante che tuttavia non va ingigantito per gli effetti che potrà produrre. Soprattutto, non deve preoccuparsi il nostro Governo e lasciarsi prendere da crisi di gelosia. É del tutto fuori luogo domandarsi se il neo eletto Merz abbia preferito un selfie con Emmanuel Macron invece che sfilare davanti a un reparto in uniforme da parata di granatieri di Sardegna schierati nel cortile di Palazzo Chigi.

Ci sarà modo di scattare anche questa photo opportunity, al momento debito. Che non è adesso. C’è una bilancia commerciale che, indicando per il 2024 in 84.942,73 milioni di euro l’export tedesco verso il nostro Paese (fonte: Infomercati esteri – Osservatorio economico), ci segnala che l’incontro Merz-Meloni ci sarà e sarà denso di contenuti. Ciononostante, i quotidiani di destra si sono mostrati preoccupatissimi per il rilancio dell’asse franco-tedesco. Non capiamo, perché agitarsi? Che la vocazione di Francia e Germania a guidare l’Unione europea abbia natali antichi, è cosa nota. Ma un conto è nutrire velleitarismi – è in questo Macron è un maestro indiscusso – un altro è renderli concreti. La differenza la fa il contesto. Oggi l’Italia, sul fronte geopolitico, è messa meglio che in passato. Piaccia o no, la politica estera di Giorgia Meloni ha restituito centralità al nostro Paese in diversi quadranti dello scacchiere internazionale. Non stiamo a elencare tutte le aree del mondo in cui la parola Italia susciti reazioni positive negli interlocutori, perché sarebbe un vacuo esercizio auto-adulatorio che, francamente, non serve a nessuno.

Stiamo ai fatti. Macron e Merz rappresentano due Nazioni che soffrono di grandi fragilità interne; che hanno pagato più degli altri la crisi economica scaturita dalla rottura delle relazioni con la Russia e che gestiscono con estrema difficoltà i rapporti con il principale alleato, gli Stati Uniti di Donald Trump. Per compensare la perdita di peso internazionale, Berlino e Parigi vorrebbero intestarsi, insieme a Londra, il ruolo di garanti della sicurezza dell’Ucraina nel post conflitto con la Russia ma, per bocca degli stessi ucraini, non ne hanno la forza. Hanno – questa sì – una gran voglia di rilanciarsi industrialmente mettendo le mani sulla gigantesca opportunità finanziaria offerta da Bruxelles di investire nel comparto della Difesa. Ma come provano a scrivere un accordo per spartirsi la torta del riarmo europeo, si fanno prendere la mano dagli appetiti nazionali e non ne fanno niente.

Un esempio? Il cacciabombardiere di VI generazione, che avrebbe dovuto nascere dal Future Combat Air System (Fcas) – il progetto di sistema di combattimento aereo del futuro, affidato a un consorzio di imprese di Germania, Francia e Spagna – in diretta concorrenza con il progetto Global Combat Air Programme (Gcap), frutto di una partnership tra Italia, Gran Bretagna e Giappone – è fermo al palo per contrasti sorti tra i soci, mentre l’altro, di cui la nostra Leonardo è co-lead partner, procede speditamente al punto che è stata confermata al 2035 l’entrata in servizio del primo velivolo caccia stealth messo in produzione. E gli incontri, le foto, le roboanti dichiarazioni dei leader francese e tedesco? Cortine fumogene per imbonire i propri elettorati interni proiettando un’immagine di grandezza e di potenza che nella realtà non esiste. L’unico dato di certezza, che al momento segna un’effettiva diversità di livello della Francia rispetto a tutti gli Stati dell’Ue, è la disponibilità di armi nucleari e la possibilità di offrire ai partner una parvenza di copertura dalla minaccia atomica che viene da Est.

Lo abbiamo detto e ripetuto in molte altre occasioni: l’Italia ha l’obbligo di colmare questo gap. Al più presto. Non è da escludere che altri lo facciano in Europa, a cominciare dalla Germania la quale, rotto il tabù del riarmo che sopravviveva dalla fine del Secondo conflitto mondiale, nei 100 miliardi previsti d’investimento in sistemi di difesa non è da escludere che vi abbia ricompreso una parte di armi tattiche a medio raggio. Altra nazione pronta al grande passo verso il nucleare a uso militare è la Polonia. Varsavia ha una paura atavica, mista all’odio, del confinante russo. Finora, dal tempo dell’affrancamento dall’Unione sovietica, la sua sicurezza è stata garantita dagli Stati Uniti. In una prospettiva di disimpegno di Washington dal quadrante europeo, Varsavia non tarderà a fare da sola trascinando con sé le repubbliche baltiche che vivono la medesima angoscia per l’aggressività del gigante russo. Se tale sarà la proiezione dello scenario europeo nei prossimi anni, è ammissibile che Roma resti indietro, preda di ingiustificabili remore finto-pacifiste?

Scimmiottando un Nanni Moretti fustigatore della sinistra, rivolgiamo al centrodestra che oggi governa un’analoga esortazione: fate qualcosa di destra. Implementare la capacità difensiva mediante il ricorso alla deterrenza nucleare è una proposta programmatica che l’elettorato di destra non può non apprezzare e condividere. Si obietterà: in Italia c’è il Vaticano che fa muro, servendosi della diffusa rete dell’associazionismo cattolico per influenzare negativamente sull’argomento riarmo l’opinione pubblica. Peccato che in Europa i credenti non la pensino allo stesso modo dei cattolici buonisti di casa nostra. E, con i tempi che corrono, non si può rimanere indietro nell’aggiornare i propri apparati di difesa per assecondare i pacifisti.

Se c’è una cosa che ci hanno insegnato i nostri antenati romani – seguendo la quale non dovremmo temere nessun pasticcio in Europa concepito per escluderci o penalizzarci o per ridimensionarci nelle aspettative da decisori politici nel contesto comunitario – è la massima: “Faber est suae quisque fortunae”. È latino, ma non necessita di traduzione per essere capita. Ugualmente, per chi non l’avesse compresa, la decliniamo a modo nostro: “se vuoi vivere, le castagne dal fuoco te le devi togliere da te e non sperare che qualcuno venga a scottarsi le mani al posto tuo”.

Aggiornato il 09 maggio 2025 alle ore 09:32