La visita alle moschee come strumento di islamizzazione

Negli ultimi anni si sono moltiplicate le iniziative di incontri tra bambini di diverse religioni, spesso presentate come occasioni di dialogo e tolleranza. Tuttavia, alcune di queste iniziative sollevano serie preoccupazioni circa l’obiettivo reale di promuovere un’integrazione autentica o piuttosto una strategia di islamizzazione soft, soprattutto in un contesto di crisi demografica e di crescente influenza dell’Islam politico in Europa. Il caso recente di Treviso, dove una scuola dellinfanzia ha portato un gruppo di bambini in una moschea, rappresenta un esempio emblematico di questa tendenza. Nonostante le dichiarazioni di apertura e rispetto da parte dell’Imam e della scuola, l’immagine dei bambini inginocchiati in preghiera rivolti verso la Mecca e l’uso del velo per le insegnanti ci devono far riflettere. La critica principale riguarda la delicatezza e la compatibilità di coinvolgere bambini così piccoli in pratiche religiose.

Al di là del caso specifico, si può notare come tali iniziative si inseriscano in un quadro più ampio di strategie di sensibilizzazione e propaganda, spesso sostenute da organizzazioni legate ai Fratelli musulmani o ad altri network islamisti, che mirano a radicare l’Islam nella società europea. La presenza di progetti europei di dialogo interreligioso, spesso presentati come volontà di promuovere pace e comprensione, vengono talvolta utilizzati come copertura per iniziative che, in realtà, hanno l’obiettivo di normalizzare e diffondere l’islamismo tra i più giovani, anche in modo subdolo. Un punto critico fondamentale riguarda il fatto che i bambini coinvolti sono troppo piccoli per comprendere la portata delle pratiche religiose cui vengono sottoposti, e non si ha certezza sulle scuole islamiche da cui provengono alcuni imam, né sui contenuti delle loro prediche. Questa mancanza di trasparenza alimenta il sospetto che si tratti di un tentativo di islamizzazione progressiva.

Numerosi studi e segnalazioni di esperienze simili, finanziate da progetti europei, in altre nazioni evidenziano come tali visite siano spesso accompagnate da una narrativa di tolleranza, ma di fatto contribuiscano a creare un substrato favorevole all’accettazione di pratiche islamiste, come l’obbligo del velo, i matrimoni forzati, le spose bambine, la disuguaglianza di genere e altre ritualità.

In Francia, ad esempio, sono stati documentati casi di scuole pubbliche e private che hanno organizzato visite a moschee, spesso senza il pieno consenso o la consapevolezza delle famiglie, suscitando critiche da parte di associazioni e di analisti della laicità. In Germania, recenti rapporti hanno evidenziato come alcune iniziative di sensibilizzazione religiosa tra i bambini vengano orchestrate da organizzazioni legate all’Islam politico, con l’obiettivo di creare una generazione di giovani più propensi ad accettare l’ideologia islamista, come parte di un progetto più ampio di islamizzazione dell’occidente. Tali pratiche sono spesso giustificate con il pretesto di “dialogo”, ma il loro reale intento sembra essere quello di normalizzare la presenza islamica e di diffondere una visione del mondo compatibile con le istanze più estremiste.

È doveroso chiedersi se le iniziative di coinvolgimento dei bambini in pratiche religiose di altre fedi siano realmente finalizzate a promuovere la tolleranza e il rispetto, o se invece costituiscano una forma di propaganda occulta volta ad islamizzare le nuove generazioni. La trasparenza, il rispetto della laicità e il coinvolgimento consapevole delle famiglie devono rimanere pilastri fondamentali di ogni attività educativa, evitando che l’ingenuità dei più piccoli venga sfruttata per avanzare progetti di colonizzazione religiosa e culturale. Solo mantenendo ferma la trasparenza, possiamo proteggere le nuove generazioni da un’ipocrisia insidiosa che mira a colonizzare le menti dei bambini sotto la maschera del dialogo e della tolleranza.

Aggiornato il 07 maggio 2025 alle ore 12:41