L’insostenibile pressione della gogna mediatica

Come era inevitabile che accadesse, dopo oltre 3 anni dal ritrovamento di Liliana Resinovich, la gogna mediatica colpisce ancora. Raccogliendo in pieno le aspettative dell’informazione colpevolista a prescindere, soprattutto quando si tratta del marito o del compagno della vittima, la procura di Trieste ha iscritto nel registro degli indagati il coniuge, Sebastiano Visintin.

Ora, per quel che è emerso attraverso l’estenuante dibattito televisivo, a parte il risentimento accusatorio del presunto amante della donna e dei suoi parenti più stretti, un classico in queste situazioni, non sembra che sussistano elementi di un certo peso ai danni dello stesso Visintin, il quale si è detto profondamente addolorato da questo ennesimo colpo di scena in una vicenda piuttosto oscura. Tanto oscura che solo recentemente, sulla base di una nuova perizia eseguita dall’antropologa forense Cristina Cattaneo, si è passati da una causa di morte per suicidio, così come certificato dalla autopsia dell’agosto 2022, dal medico legale Fulvio Costandinides e dal radiologo Fabio Cavalli. “Liliana Resinovich è morta per soffocamento e si è soffocata da sola”, così riporta ufficialmente la consulenza medico legale, nella quale viene inoltre viene indicata l’assenza “di chiare evidenze oggettive omicidiarie portate da terzi, e di alcunché che concretamente supporti l’intervento per mano altrui”. A questo punto, il 20 febbraio del 2023 la procura di Trieste, in questo passaggio rappresentata dal pm Maddalena Chergia, chiede al Giudice per le indagini preliminari l’archiviazione del fascicolo di indagine.

Archiviazione negata tre giorni dopo dal gip del tribunale di Trieste, Luigi Dainotti. Ovviamente dal quel momento l’offensiva mediatica colpevolista si è inasprita, al pari di ciò che è accaduto in due casi simili che inizialmente si erano conclusi con il proscioglimento e l’assoluzione degli unici due accusati: la presunta morte di Roberta Ragusa, finita con una condanna a 20 anni per il marito Antonio Logli, prosciolto in precedenza dal giudice per l’udienza preliminare, e l’omicidio di Chiara Poggi, con la clamorosa doppia assoluzione del fidanzato, Alberto Stasi, poi definitivamente condannato dopo ben cinque processi. Una offensiva che coinvolge gran parte dell’opinione pubblica e che sembra esercitare una certa pressione anche in chi svolge il delicato ruolo di amministrare la giustizia, giudici popolari compresi.

Ed anche in quest’ultimo caso vale lo stesso ragionamento garantista che mi sono più volte permesso di esprimere in molte, analoghe vicende: io non so se Sebastiano Visintin sia innocente; quello che mi sento di dire, avendo seguito la vicenda nei dettagli, è che allo stato attuale non c’è nulla che ne evidenzi oltre ogni ragionevole dubbio la sua colpevolezza. Ovvero sussiste quella costituzionale presunzione di non colpevolezza, fino a prova contraria, che l’informazione colpevolista a prescindere proprio non digerisce, soprattutto quando essa, per un bieco interesse legato all’audience, trova il marito o il compagno ideale da mettere alla gogna.

Aggiornato il 14 aprile 2025 alle ore 10:14