
Il 185° Reggimento paracadutisti R.R.A.O. (Ricognizione e acquisizione obiettivi) è un reparto di élite delle nostre forze speciali. È specializzato nelle azioni che prevedono l’ingaggio di target a distanza ed è addestrato a combattere dietro le linee nemiche. Il generale Carmine Masiello, attuale Capo di Stato maggiore dell’Esercito, si è formato alla scuola del 185°, di cui è stato comandante dal 2008 al 2010. Lo raccontiamo perché, dopo averla ascoltata dal palco del congresso di Azione, ci è sorto il sospetto che Giorgia Meloni si fosse rivolta proprio al generale Masiello per un corso accelerato in tecniche di infiltrazione e di acquisizione dell’obiettivo, di cui sono esperti i paracadutisti del 185°. Già, perché più che una visita di cortesia in casa di Carlo Calenda, è sembrato un blitz in piena regola della Meloni. E, stando ai commenti degli opinionisti – feroci quelli di sinistra, encomiastici quelli di destra – l’operazione è apparsa pienamente riuscita: acuire la spaccatura nel campo degli oppositori al Governo.
Qui, le grandi strategie da statisti non c’entrano un fico secco: siamo al tatticismo della politique politicienne. Che – ipocrita fare gli schizzinosi – anch’essa serve alla bisogna quando, per un politico, per essere un giorno celebrato da statista, tocca vincere le elezioni. É questione di priorità: primum vivere (politicamente), deinde philosophari. Perché Azione? La pattuglia calendiana potrebbe rappresentare per Meloni il classico investimento dell’oggi grazie a cui raccogliere dividendi domani. Intendiamoci, per Giorgia la politica resta cosa seria, non mercato delle vacche. Non c’è alcuna voglia, da parte sua, di fare acquisiti last minute di parlamentari in vendita. Neanche ne avrebbe bisogno visto che i numeri larghi per governare li ha. Tuttavia, esordire affermando con toni stentorei: “Non sono qui per sostituire i miei alleati” non vuol dire che non pensi ad allargare la maggioranza in futuro, magari dopo aver superato l’orizzonte di questa legislatura. Permanendo la legge elettorale in vigore, per i partitini centristi vi è un serio problema di collocazione per strappare qualche seggio nel confronto muscolare dell’uninominale. Ciò significa dover necessariamente negoziare un accordo con una delle due coalizioni che si fronteggiano. Finora, si è data per scontata la collocazione di Calenda a sinistra. Ma la deriva oltranzista a cui la segretaria “dem” Elly Schlein si è abbandonata, trascinando con sé tutto il Partito democratico, pone di fatto la pattuglia calendiana fuori dall’alleanza.
Carlo Calenda, a cui tutto si può attribuire non la stupidità, si è fatto i suoi conti e ha dovuto constatare che per sopravvivere nella prossima legislatura non può restare schiacciato al centro, ma deve appoggiarsi a un rassemblement più consistente. Ora, non bisogna essere scienziati della politica per giungere all’inevitabile conclusione: se da una parte non ti vogliono, non ti resta che provare ad andare dall’altra. La presenza di Meloni al congresso di Azione la si può interpretare in questo modo: Caro Carlo, ho raccolto la bottiglia contenente il grido di aiuto che hai lanciato, e sono qui a dirti che al momento opportuno il mio salvagente per te ci sarà. È ovvio che un tale messaggio generi in chi lo riceve un senso sicurezza per le proprie sorti e per quelle dei propri sodali, che nella politica fatta da uomini (e donne) sensibili al “tengo famiglia”, conta parecchio. E come in ogni ambiente che si rispetti, alla generosità dell’uno si risponde con un gesto, più o meno esplicito, di gratitudine. Carlo Calenda, che è cresciuto in una buona famiglia, certe cose del mondo le conosce e sa regolarsi di conseguenza. D’altro canto, come altro si potrebbe spiegare l’attacco a testa bassa a Giuseppe Conte e al suo Movimento dal palco congressuale? Quell’anatema “l'unico modo per averci a che fare è cancellarlo” lanciato all’indirizzo del movimento contiano suona da campana a morto per le prospettive di un allargamento onnicomprensivo della coalizione a sinistra.
Quell’aut-aut – me o Giuseppe Conte – intimato da Calenda ha il sapore di un’istigazione, neanche troppo velata, a Schlein perché recida i rapporti non con la componente radicale e massimalista della sinistra ma con l’area progressista moderata. Calenda vuole che sia Schlein a rompere con lui per giustificare la sua inversione di rotta nell’opposta direzione. Lui vuole essere espulso dal processo di aggregazione a sinistra per potersi legittimamente ergersi a nume tutelare e protettore di un’area centrista, orfana di alleanze ma pur sempre in grado di essere ago della bilancia tra le due grandi forze in lotta tra loro. Allora, se non a sinistra, potrebbe concretizzarsi una convergenza con il centrodestra, a partire dai territori. Se questa è la convenienza di Carlo Calenda, qual è quella di Giorgia Meloni ad accoglierlo in grembo? La leader di Fratelli d’Italia ha un problema supplementare all’interno della coalizione del centrodestra, oltre all’insofferenza della Lega: non può consentire che Forza Italia estenda eccessivamente la sua influenza sull’area del riformismo moderato. Attualmente, il partito che fu di Silvio Berlusconi si è trasformato in una sorta di filiale italiana del popolarismo tedesco (se Antonio Tajani certi giudizi sprezzanti all’indirizzo di Vladimir Putin li avesse espressi con Berlusconi in vita, si sarebbe ritrovato disoccupato nel giro di pochi minuti). Inoltre, non c’è solo Forza Italia.
Al suo fianco agisce una sorta di junior partner che è “Noi moderati”. Il raggruppamento centrista svolge, in alcune aree del Paese, un’opera di drenaggio del consenso che, per diverse ragioni, non viene canalizzato da Forza Italia. Si tratta di una funzione ancillare molto simile a quella che ai tempi della Prima Repubblica svolgeva il Psiup (Partito socialista italiano di unità proletaria) rispetto al Partito comunista italiano. Non è escluso che, nelle previsioni meloniane, il “laico” Calenda possa rappresentare una voce dissonante nell’area moderata altrimenti appannaggio di Forza Italia e costituire un contrappeso alle spinte estremistiche di un Matteo Salvini sempre più radicalizzato a destra nelle scelte sovraniste (di rado condivise dai “colonnelli nordisti” dallo stato maggiore della Lega). Tutto ciò farebbe molto comodo alla Meloni per rafforzare la sua posizione baricentrica rispetto agli equilibri interni alla coalizione. D’altro canto, non vi sarebbe nulla di nuovo nell’assistere, da parte della Meloni, al tentativo di allargare verso il centro la coalizione posta sotto la sua guida.
Non bisogna dimenticare che la giovane Giorgia, negli anni Novanta militante di Alleanza nazionale con qualche simpatia per la corrente interna “Destra protagonista”, ha ben conosciuto il progetto politico di Pinuccio Tatarella che, a pochi mesi dalla nascita della coalizione di centrodestra, si spingeva a teorizzare un “polo delle libertà” più “arioso”, guardando alle forze del centro dello schieramento politico. Non è quindi un caso che Meloni, nel suo intervento al congresso di Azione, pur rispettando il galateo partitico che impone un atto di omaggio all’azione costruttiva dell’oppositore, ha tenuto a rimarcare i punti di una possibile convergenza programmatica nel prossimo futuro. Sostegno all’Ucraina, ancoraggio atlantista dell’Italia e dell’Europa, ritorno al nucleare per superare il gap energetico che penalizza il sistema produttivo italiano rispetto alla concorrenza estera, sono i temi principali di una possibile convergenza di Calenda verso il centrodestra.
Nulla di male nel prefigurare Azione come possibile quinta gamba della coalizione di centrodestra che verrà. Ciò che invece appare più problematico è immaginare Carlo Calenda nella funzione di equilibratore dei rapporti di forza all’interno di una variegata area moderata-riformista, conservatrice, sovranista. Al momento, siamo alle mosse tattiche preparatorie di possibili scenari. Non siamo ancora alla palpitante attualità dei cambiamenti in atto. Per quelli occorrerà tempo e, di certo, altro accadrà. Compreso assistere alle giravolte tatticiste di Carlo Calenda che, nel frattempo, potrebbe aver litigato con tutti, amici e nemici. E anche con sé stesso.
Aggiornato il 01 aprile 2025 alle ore 09:45