
Con tanti guai che abbiamo, non vorremmo occuparci degli scatti d’umore del professor Romano Prodi. Eppure, tocca farlo. Per due fondati motivi: il rispetto che si deve a una giornalista oltraggiata dal comportamento aggressivo dell’anziano ex leader del centrosinistra e il dubbio esistenziale sul permanere del doppiopesismo etico nella contesa politica. La vicenda è nota, ma non arcinota per la cortina di silenzio che i media, organici alla sinistra, hanno innalzato a protezione del “venerato maestro” Prodi, colto in fallo di frustrazione. La giornalista Lavinia Orefici, inviata del programma televisivo Quarta Repubblica, intercetta l’ex presidente del Consiglio all’uscita da una manifestazione pubblica e, microfono alla mano, gli legge un passo del Manifesto di Ventotene chiedendogli cosa ne pensasse. Il professore, visibilmente stizzito, le si rivolge in modo aggressivo, la insulta. Di più: le afferra una ciocca di capelli e mima una tirata d’orecchie. Poi, tra lo sconcerto dei presenti, si allontana continuando a bofonchiare frasi irate all’indirizzo della malcapitata intervistatrice.
Il fatto, per quanto taciuto dalla stampa compiacente con i progressisti, non passa inosservato all’occhio vigile del conduttore di Quarta Repubblica, Nicola Porro, che si indigna non per l’incidente in sé ma per le mancate scuse alla giornalista da parte di Prodi. Il “professore” non ci sta a riconoscere il proprio torto e rilancia: non ho tirato i capelli a nessuno, con la mano le ho toccato la spalla. Quanto basta per far scattare la verifica al Var dei fotogrammi incriminati. Quarta Repubblica manda in onda il particolare della ciocca dei capelli della vittima che compare ai margini di un’inquadratura della mano del professore colta a volteggiare nel vuoto all’altezza del viso della giornalista, come a brandire una sciabola protesa verso un mortale nemico. La prova video conferma: Prodi ha mentito. Verrebbe da dire con qualche sghignazzo: sai che novità, per una vita ha riempito di balle gli italiani. E a rincarare la dose: la storia che lui sia stato uno statista italiano ed europeo di spessore è una fandonia alla quale gli italiani si sono assuefatti un po’ per pigrizia intellettuale e un po’ perché di chi sia stato Prodi non gliene frega niente.
Dal nostro punto di vista, pensiamo – e non da oggi – che Prodi sia stato una iattura per la Nazione, da presidente del Consiglio in due Governi di centrosinistra (dal 1996 al 1998 e dal 2006 al 2008) –mai giunti a scadenza naturale di legislatura ma cascati precocemente – e da presidente dell’Iri – l’Istituto per la ricostruzione industriale – (dal 1982 al 1989 e dal 1993 al 1994) nel periodo della dismissione a prezzi stracciati del patrimonio industriale pubblico. E sia stato un “bug” anche per l’Europa, quando ha guidato la Commissione (dal 1999 al 2004) in momenti cruciali per i destini dei popoli europei. L’ingresso precipitoso e non regolato della Cina nel Wto (World trade organization) – l’Organizzazione mondiale del commercio – propiziato da Romano Prodi, è stato un micidiale siluro lanciato contro l’economia occidentale per provocarne l’affondamento.
Oggi siamo al cospetto di un vecchio che è fuori dai giochi della politica. Che, però, non si arrende al divenire della storia. Non sa tramontare, perché non conosce la dignità – e l’etica – del limite. Lo si vede girovagare tra eventi glamour di presentazione di libri che in pochi leggeranno e verbosi convegni che annoiano anche chi vi partecipa. Accolto e omaggiato dai suoi antichi sodali, con la medesima compassata cortesia che mostrano gli impiegati di un ufficio quando torna a fargli visita un collega pensionato. Ricorda, nelle cervellotiche argomentazioni dei suoi interventi, la vecchia pettegola di una canzone di Fabrizio De André la quale, non potendo più dare il cattivo esempio, dispensava buoni consigli. L’avremmo potuta chiudere qui, perché il passato è passato: lo si studia, quando ne vale la pena, ma non si polemizza con ciò che è stato. E Prodi, comunque la si pensi, è stato qualcosa. Ma c’è di mezzo l’onorabilità di una persona, la giornalista Lavinia Orefici, che non merita di essere infangata. La Orefici non ha mentito quando ha detto di essere stata toccata impropriamente da Romano Prodi. Le va riconosciuto.
Il “professore” ha sbagliato nell’aggredire la giornalista e i suoi fan non possono invocare le intemperanze dell’età per giustificare ciò che non è giustificabile. Esistono regole di prossemica che misurano con precisione la distanza che deve intercorrere tra l’intervistato e l’intervistatore. Regole di buona condotta professionale che non possono essere in alcun modo disattese. Ma che roba è vedere un personaggio politico che ha avuto un ruolo nella vita del Paese mettere le mani addosso a una donna che gli rivolge una domanda scomoda? Se il “professore” non ci sta più con la testa, se è di demenza senile che si tratta, possiamo capirlo, è della condizione umana dover fare i conti con le fragilità del decadimento fisico e mentale. In tal caso è opportuno starsene a casa ed evitare il contatto con il pubblico, quando non si ha più il pieno controllo delle proprie reazioni emotive. Ma c’è l’insopportabile questione del doppiopesismo morale che non ci va giù.
L’atto indecente lo ha commesso Prodi e tutta la cricca dei media progressisti gli è corsa in aiuto dandosi un gran daffare a minimizzare l’accaduto, a silenziarlo, a ribaltare la verità buttando la croce addosso alla vittima. Non possiamo non domandarci: se l’autore dell’aggressione fosse stato uno di destra – un Matteo Salvini o un esuberante Ignazio La Russa – i “giornaloni” avrebbero usato il medesimo riguardo nel coprirne le responsabilità? Avrebbero ugualmente taciuto o minimizzato i comportamenti inappropriati? Il solito caravanserraglio progressista non si sarebbe immediatamente attivato per muovere la piazza contro l’onnipresente sindrome da patriarcato, il maschilismo connaturato alla gente di destra, il fascismo incombente e altre amenità del politicamente corretto? E le femministe, avrebbero avvertito il dovere della solidarietà di genere verso la lavoratrice colpita dalla violenza del maschio prevaricatore? Avrebbero reclamato giustizia per la vittima in nome del principio che nessuna donna deve essere offesa, oltraggiata, ferita, ammazzata e, proprio perché donna: non una di meno?
Evidentemente, il loro odierno, assordante, silenzio si spiega con il fatto che considerino la Orefici una di più, non una di loro, perché lavora con quelli della parte sbagliata. E se un’offesa le è stata arrecata vuol dire che se l’è cercata; vuol dire che non basta essere donna se si è figlia di un dio minore, se non si è procurata uno strapuntino dal lato giusto della storia. Siamo al nodo della questione. Non ci offende tanto il comportamento vile e bugiardo del “venerato maestro” Romano Prodi, quanto invece ci preoccupa l’ottusa faziosità dei progressisti. Eppure, sono loro a spacciarsi per i “buoni” della favola. Allora, come collocarli nell’affresco dadaista della società aperta, solidale e tollerante allestito a uso “dell’umanità migliore” abitata dai progressisti? Se estendessimo alla variopinta progenie che affolla il campo progressista la tripartizione morale che Alberto Arbasino applicava al piccolo mondo dei letterati, potremmo convenire che un Prodi non più troppo presente a sé stesso venga iscritto di diritto nella categoria dei “venerati maestri”.
E gli altri, tutti gli altri che lo sostengono e che non avendo un’idea propria e credibile di futuro, lo portano in giro come la madonna peregrina, a testimonianza della vitalità di un pensiero progressista altrimenti evanescente? Dove li mettiamo, come li classifichiamo? Stando ad Arbasino andrebbero tutti a stare a pieno titolo nella categoria di mezzo, la seconda, quella che lo scrittore ha denominato, con sublime capacità descrittiva della qualità umana: “dei soliti stronzi”. Quale collocazione più azzeccata per costoro, che hanno taciuto per sfacciato interesse di bottega su quanto capitato a Lavinia Orefici? E che non hanno provato un fremito, anche impercettibile, di vergogna presi come sono dal loro ipocrita buonismo.
Aggiornato il 27 marzo 2025 alle ore 13:15