La vertigine gallica

La foga con la quale l’Unione europea discute dell’impellenza di un piano comune di riarmo sa di fregatura. C’è qualcosa che non torna nell’accelerazione impressa da Bruxelles. La sensazione, dal retrogusto sgradevole, è che la vicenda ucraina sia solo un pretesto per conseguire da parte di qualcuno in Europa (e più avanti diremo chi è questo qualcuno) una presa di beneficio in termini egemonici su un’Unione la quale, nella congiuntura odierna, ha smarrito tutte le rotte possibili per affrontare con concretezza e pragmatismo le sfide del futuro. Mettiamo le carte in tavola: se Donald Trump intende riposizionare strategicamente il suo Paese riservando maggiore attenzione agli equilibri geostrategici nel quadrante dell’Indo-Pacifico e, nel contempo, depotenziando la presenza militare statunitense sullo scacchiere europeo, c’è da questa parte della sponda atlantica un personaggio – Emmanuel Macron – che rompe gli indugi e prova a mettere cappello sulla difesa integrata dell’Unione europea.

È ormai chiaro a tutti che lui voglia per sé il ruolo di dominus nella costruzione di un’improbabile difesa comunitaria. Lui vuole cambiare la storia facendo sì che, nel prossimo futuro, alla domanda: “chi chiamare a telefono per parlare di forza militare europea?” La risposta debba essere: “citofonare all’Eliseo e chiedere di Emmanuel Macron”. Se questo è il progetto, lo diciamo dritto per dritto: non abbiamo accettato di restare gregari degli Stati Uniti negli ottanta anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, per finire oggi – come Italia – a fare l’ancella della grandeur francese. Si obietterà: perché un così acrimonioso nazionalismo? Risposta: i fatti e le parole spese Oltralpe in queste ore ci costringono a prendere una posizione netta.

Il discorso che Macron ha rivolto alla sua Nazione ieri l’altro è stato il più crudo e preoccupante riscontro ai nostri sospetti. Il presidente francese agita lo spauracchio di una Russia pronta a invadere l’Europa; terrorizza i suoi stessi connazionali paventando un’aggressione da Est in procinto di scattare; cita la vicenda ucraina quale prova inconfutabile della volontà imperialista di Vladimir Putin sull’intero continente; denuncia una sorta di perverso rovesciamento dell’ideale politico che fu di Charles de Gaulle di un’Europa dall’Atlantico agli Urali in un ben diverso e devastante incubo di una Russia “dagli Urali all’Atlantico”; tende la mano ai partner dell’Unione offrendo loro la protezione delle armi nucleari proprio nel momento in cui le due superpotenze nucleari – Russia e Usa – danno segnali inequivoci di pace disponendosi a chiudere il conflitto russo-ucraino; sulla sicurezza, propone di sganciare gli Stati del Vecchio continente dalla dipendenza dall’alleato americano. Se non è questo un discorso di autoinvestitura imperiale, gli somiglia molto.

Purtroppo per lui – e per nostra residua fortuna – tutto ciò che ha detto per spingere i francesi a tenergli bordone sulla ritrovata pretesa egemonica è destituito di fondamento e la pretesa stessa è campata in aria. A cominciare dal “a lupo-a lupo!”, urlato in diretta televisiva contro la supposta volontà aggressiva russa. Macron ha chiesto ai suoi: Chi può credere che la Russia si fermerà all’Ucraina? Risposta: noi. Lo sosteniamo convintamente, non perché pensiamo che i russi siano buoni e candidi a prescindere e che Vladimir Putin sia un’educanda del convento delle Orsoline fraintesa nelle sue pie intenzioni. Semplicemente, ci limitiamo a constatare la realtà, che non mente. Essa ci mostra che il “potente” apparato militare russo ha impiegato tre anni e un numero spropositato di morti in battaglia (l’Institute for the study of war – Isw – di Washington stima che la Russia abbia perso circa 125.800 soldati nel corso delle sue offensive autunnali), per conquistare due lingue di terra del suolo ucraino le quali, in percentuale, corrispondono a circa il 18 per cento del territorio dell’Ucraina, Crimea inclusa (fonte: Istituto per gli studi di politica internazionaleIspi – report del 24 febbraio 2025).

Per non parlare dell’enorme quantità di munizionamenti e di sistemi d’arma impegnati. Alla luce di tali evidenze, com’è lontanamente possibile immaginare che Mosca voglia lanciarsi all’attacco dell’Occidente, affrontando una guerra convenzionale di teatro? Con quali risorse economiche? Con quali e quanti militari? Con quali riserve alimentari per nutrire l’esercito e la popolazione in guerra? Con quali armamenti spingersi ad aggredire un qualsiasi Paese europeo appartenente alla Nato il quale, verosimilmente, azionerebbe la clausola di difesa collettiva prevista all’articolo 5 del Trattato nord atlantico? Se Putin volesse chiudere i conti con l’Europa dovrebbe usare l’arsenale nucleare. A quel punto nessuno di noi europei dovrebbe più preoccuparsi dei futuri equilibri mondiali perché saremmo tutti al cospetto del Creatore. E non saranno certo le 290 testate nucleari francesi a tenerci al riparo dalle 6.257 testate russe. Ecco dunque che, dietro le parole, si scorgono le vere intenzioni di un politico che gioca sporco. Macron ha colto il momento di totale disorientamento delle leadership europee di fronte all’assertività inaspettata di Donald Trump per rispolverare un progetto che giaceva da tempo nei cassetti dell’Eliseo. Nel rapporto – pubblicato all’inizio del 2021 – dell’Institut Montaigne di Parigi dal titolo Ripensare la nostra Difesa a fronte delle crisi del XXI secolo, è scritto tutto ciò che, in forma più o meno velata, Macron sta tentando di mettere in opera. Nonostante in quei giorni alla Casa Bianca vi fosse l’avvicendamento (sofferto) tra un Donald Trump sconfitto con molte ombre e un Joe Biden vincente (grazie alle medesime ombre allungatesi sulla correttezza del voto popolare), gli analisti transalpini già pronosticavano che la Francia e l’Unione europea non potessero fare affidamento esclusivamente sull’alleato americano per la loro sicurezza; che spettasse alla Francia guidare l’autonomia strategica dell’Europa e avere un ruolo unificante nel potenziamento della Nato.

Parliamo dello stesso Paese che con il suo Governo ha avuto l’ineguagliabile capacità di alienarsi le simpatie di tutti gli Stati africani, un tempo sue colonie, sui quali ha continuato a esercitare un pesantissimo potere d’influenza, di fatto spingendoli tra le braccia tutt’altro che disinteressate di Cina e Russia. Macron, che ha un’opinione pubblica interna scontenta della sua presidenza e un’economia che fa acqua da tutte le parti, gioca a fare il piccolo Napoleone. Plaude all’iniziativa abborracciata della presidente Ursula von der Leyen per aiutare i Paesi Ue a riarmarsi, nella convinzione che, successivamente, quegli Stati debbano aggregarsi all’unica potenza comunitaria che dispone dell’arma nucleare. Prendendo a prestito le parole di una nota canzone di Enrico Ruggeri, la leadership macroniana sulla difesa comune europea è un “concetto che il (nostro) pensiero non considera”. L’unica decisione, dotata di un minimo senso di sostenibilità, che Bruxelles potrebbe partorire in materia di difesa comune è favorire finanziariamente la cooperazione rafforzata in spirito paritario tra i principali partner Ue – che restano la Germania, la Francia e l’Italia – a cui aggiungere una copertura a Ovest e a Est, che potrebbe essere garantita rispettivamente dalla Spagna e dalla Polonia e lasciare tranquille di fare ciò che possono – riguardo agli armamenti – tutte le altre medio-piccole realtà territoriali – a cominciare dai “Baltici” – di cui si compone l’Unione europea.

A condizione però che si resti ben ancorati a una Nato il cui ruolo guida deve rimanere saldamente nelle mani dello “zio Sam”. Tutto il resto è fuffa. Sono sogni destinati, nel contatto con la realtà, a trasformarsi in patetici esibizionismi di nani politici (europei) che si ergono a giganti globali su una montagna di carta straccia, che è quella delle caleidoscopiche pianificazioni comunitarie in stile Unione sovietica del bel tempo che fu.

Aggiornato il 10 marzo 2025 alle ore 09:56